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2 Lug [10:03]

Honda, storia di un riscatto:
premiati quattro anni di fatiche

Jacopo Rubino

Non sono solo macchine. Ci piace pensare che la Red Bull di Max Verstappen, nella spettacolare cavalcata verso la vittoria in Austria, avesse una spinta in più. Quella dei suoi scatenati tifosi? No, quella della Honda, intesa come azienda, come insieme di uomini che stavano sognando ad occhi aperti. Quegli uomini che quasi all'improvviso hanno trovato il definitivo riscatto per le tante batoste sopportate come motoristi dal ritorno in Formula 1 nel 2015, quando accettarono la sfida turbo-ibrida equipaggiando la McLaren.

L'avventura bis con il team di Woking è stata un disastro, nulla a che vedere con i fasti del periodo 1988-1992. Abbastanza perché la McLaren abbia voluto sciogliere il contratto dopo tre anni, a costo di rinunciare a molti soldi di sponsorizzazione. Forse anche per accontentare Fernando Alonso, che ai nipponici ne ha dette di tutti i colori. Più o meno a ragione, raramente con stile. Sono diventati subito da antologia certi messaggi radio, a cominciare dall'ormai celebre "GP2 engine" pronunciato proprio a Suzuka, circuito di casa. Un vero affronto. Eppure, in Honda non hanno mai smesso di lavorare a testa bassa. Mai con una parola fuori posto, nel tipico stile del Sol Levante.

Domenica, di tutto questo, ha però raccolto i frutti la Red Bull. Sono stati sufficienti appena nove weekend. La scuderia anglo-austriaca, nella "sua" Spielberg, ha centrato il primo trionfo con la nuova power unit, preferita a quella Renault. Una scelta che è stata una scommessa, seppur ben pesata grazie alle molte informazioni ottenute in anticipo: nel 2018 la squadra satellite Toro Rosso è stata utilizzata come banco prova. Già sotto al cofano della vettura di Faenza, in effetti, il V6 made in Japan da subito non era comunque apparso così mediocre (e fragile). Segno che in Honda i progressi venivano fatti, traendo lezione dagli errori, magari cambiando i vertici, e allo stesso tempo facendo presto maturare dubbi sull'efficacia dei metodi McLaren.



"Finalmente ce l'abbiamo fatta. Questa vittoria è un modo per ringraziare tutti i nostri sostenitori nel mondo, è un nuovo inizio", ha raccontato un emozionato Toyoharu Tanabe, l'attuale responsabile tecnnico del programma F1 che la Red Bull ha voluto mandare in rappresentanza sul podio. "Possiamo goderci un po' i festeggiamenti, ma dobbiamo tornare al lavoro il più in fretta possibile: va ancora colmato il gap dai più forti". Mercedes e Ferrari, ovviamente. Fa quasi sorridere che alla vigilia del fine settimana, poco impressionato dal propulsore "Spec 3" ricevuto in Francia, Verstappen avesse invocato un'accelerata allo sviluppo. L'olandese certamente ci ha messo molto del suo per vincere al Red Bull Ring, a maggior ragione in un tracciato dove i cavalli contano, ma è significativo che durante la premiazione abbia voluto indicare platealmente il logo con la H stampato sulla tuta. "Non hanno avuto vita facile in questi anni, vincere per loro è semplicemente incredibile", ha sottolineato.

Una monoposto motorizzata Honda non si imponeva dal 2006, in Ungheria: quella fu una domenica pazza, complice la pioggia, che propiziò il primo centro in carriera di Jenson Button (14esimo in griglia). Rimase l'unico trionfo targato Honda nella breve parentesi da costruttore completo, dopo aver acquistato la BAR, prima di abbandonare improvvisamente a fine 2008. Tredici anni più tardi il GP non ha invece vissuto di variabili a sorpresa, svolgendosi sull'asciutto e senza safety-car. Il che aumenta il valore del risultato dal punto di vista tecnico. E poi un altro propulsore vincente è un toccasana per l'intera F1, oggi assetata di altri nomi, di altri protagonisti, di altri elementi da celebrare in mezzo allo strapotere Mercedes. Di sicuro la Honda ha trovato un enorme bonus motivazionale per proseguire l'impegno nella categoria regina. Sempre che, alla faccia di tutto quanto ha vissuto dal 2015, ne avesse realmente necessità.