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Giovanni Bernacchini

Guido Rancati

Qualcuno non se n’è accorto, qualcuno se n’è accorto e ha fatto finta di niente. Cose di ordinaria follia nel microcosmo corsaiolo del Belpaese dove da un po’ di tempo la regola è quella di non allargare lo sguardo oltre i confini. Per pigrizia, certo. Ma anche per poter continuare a cullare l’illusione del “campionato più bello del mondo”. Però nell’anno più disperante del rallysmo tricolore, quello in cui nessun pilota di casa nostra è riuscito a infilarsi nei primi quindici di un appuntamento iridato, un italiano ha corso e vinto all’estero. Sul sediolo di destra, ma si sa che l’Italia è il Paese dei santi, dei poeti e di navigatori...
Ha diviso l’abitacolo con Nasser Al-Attiyah, Giovanni Bernacchini. Con lui ha diviso le gioie (tante) e i dolori (pochi) di una stagione intensa, culminata con la vittoria nel campionato mediorentale e il secondo posto nel mundialito degli ennisti. E con lui ha iniziato l’anno nuovo vincendo fra la sabbia e le pietre del Qatar.

- Chi ben comincia...
“Vincere alla prima uscita con una Super2000 è stato importante, ora si tratta di continuare la serie positiva: con Nasser, quest’anno, siamo impegnati su tre fronti e l’obiettivo è essere al top ovunque. In Messico per il nostro esordio nel Mondiale Super200o, in Argentina nell’Intercontinental Rally Challenge e nelle altre gare che seguiranno. Non sarà facile, è chiaro, ma ci proveremo”.

- Che effetto fa ad uno come te abituato a dettare il ritmo in rally per così dire classici, farlo nella penisola araba?
“Alcune gare sono molto simili alle nostre, altre invece come quella in Kuwait o a Dubai sono decisamente diverse: si corre nel deserto dove ovvimente non ci sono strade e ci si deve orientare fra i coni piazzati dagli organizzatori. Non è facile, anzi è piuttosto difficile e poi, spesso, ci si deve confrontare con commissari di percorso filippini che non sempre sono il massimo. Per quel che mi riguarda, ho la fortuna di correre con un pilota che è abituato ai raid e quindi ha una grande esperienza specifica. Per dire, è già capitato che mi dica di chiudere il quaderno delle note e di avvertirlo solo dei bivi”.

- Al-Attiyah è anche uno degli abituali grandi protagonisti nei raid: mai pensato di stargli accanto anche in una maratona?
“La mia voglia di fare anche quell’esperienza cresce, ma non saprei dire se e quando lo farò. Intanto, la Volkswagen ha voluto mettergli accanto un navigatore tedesco e poi, francamente, non è che in questa stagione avrò molto tempo libero...”.

- Già, fra mundialito, campionato del Medio Oriente e la serie alternativa, di carne sul fuoco ne avete tanta.
“In programma abbiamo altre sei manche della serie mediorentale, i sette appuntamenti del mondiale e almeno sei gare dell’Intercontinental Rally Challenge che, se le cose andranno come speriamo, potrebbero anche diventare sette o otto. E’ per questo che non so neppure quanti altri raid dopo la Dakar riuscirà a fare Nasser da qui alla fine dell’anno”.

- Corri con Nasser da ormai un anno. Che tipo è?
“Come pilota è fortissimo, è chiaro. E poi sbaglia molto poco come dimostra il fatto che nella stagione scorsa ci siamo ritirati solo una volta. Analizzare in fretta la gara è uno dei suoi punti forti, insieme alla capacità di memorizzare in fretta i percorsi. Per contro, ha ancora pochissima esperienza sull’asfalto e non ha neppure voglia di aumentare il suo bagaglio, pur se quest’anno faremo il Barum e, forse, il Sanremo. Sul piano umano, beh, è... incredibile: ha sempre il sorriso sulle labbra e pensa sempre positivo. E’ proprio una gran bella persona, e accanto a lui è un gran bel correre”.