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MONDIALE RALLY
PETTER SOLBERG
Guido Rancati
Pilotare è la mia vita e per qualche anno
continuerò a farlo”. Petter Solberg prende
atto che per lui non c’è più posto nel circo
iridato e fa sapere di non avere nessuna
voglia di appendere il casco al classico chio-
do. “Mi spiace voltare pagina perché sento
che avrei potuto continuare a battermi per
vincere”, aggiunge facendo il possibile per
sembrare credibile. Ma chissà se lo crede
davvero. Forse no, forse sa che il suo tem-
po è finito già da un po’ e tuttavia neppure
per il commiato vuole rinunciare a recitare
la parte dello spaccone.
I vecchi del giro ricordano quel giorno di
quindici anni fa nel quale era apparso sulla
scena. Costretto a muoversi con l’ausilio
delle stampelle, conseguenza dell’incidente
che aveva messo fine in anticipo alla sua
avventura nelle foreste del RegnoUnito, era
evidente che soffriva. Ma nascondeva il
dolore dietro a un sorriso accattivante. E
assicurava che sarebbe stato pronto per
sfruttare la grande occasione offertagli da
Malcolm Wilson. L’ha fatto. Con le vetture
del Grande Ovale Blu ha iniziato a frequen-
tare con assiduità il mondiale. Ad accumu-
lare esperienza, a farsi vedere. Un anno e
mezzo, poi la corte di David Richards, il
divorzio dalla Ford, il matrimonio con la
Subaru. Il primo vero contratto, le prime
vittorie: una nel 2002, quattro nel 2003,
l’anno del titolo, cinque nel 2004 e tre nel
2005.
A contare anche quella raccattata
senzamerito alcuno a Cardiff, nel giorno del
supremo sacrificio di Michael "Beef" Park.
Non ha vinto molto, in carriera. I tredici
successi che lo piazzano solo al quattordi-
cesimo posto fra i plurivincitori di tutti i
tempi li ha ottenuti in cento e ottantotto
presenze. Che sono tante. La progressiva
decadenza della Subaru lo ha costretto a
vivere varie annate ai margini del palcosce-
nico, ma non ha appannato una popolarità
alimentata con la naturale simpatia. E con
promesse mai mantenute. Da quella di vin-
cere dieci gare in una annata e quella di bat-
tere Sébastien Loeb, a condizione di avere
un’auto competitiva. L’ha avuta: le Citroen
che ha maneggiato dopo l’addio alle armi
della Casa delle Pleiadi non erano dei ferri
vecchi, le Fiesta che ha usato e spesso stra-
pazzato nella stagione appena finita sono
auto vincenti. Jari-Matti Latvala e Mad
Ostberg lo hanno dimostrato. Loro.
Mancherà, come tanti altri. Pur se non è sta-
to ha avuto quel pizzico di pazzia di Colin
McRae e di Henri Toivonen, pur se non ha
compiuto rimonte impossibili come Didier
Auriol, pur se non ha mai mostrato quella
capacità di cavare il massimo dal materiale
a disposizione che ha fatto grandissimo
Juha Kankkunen. Pur se non è mai riuscito
a essere uomo-squadra come Carlos Sainz,
Tommi Makinen e Miki Biasion. E’ stato un
grande e non ci piove. Ma non un grandis-
simo, anche se è stato dannatamente bravo
a farlo credere a tante gente.