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Stefano Semeraro
Lo senti parlare e ti vengono i brividi. Lo
senti dire: «Sono orgoglioso di fare parte di
una squadra come questa, so che ci sono
ancora molte persone che hanno lavorato
conmio zioAyrton», e chiudi gli occhi. Pen-
si al bellissimo, emozionante struggente
documentario uscito l’anno scorso in cui
Bruno compariva proprio con zio Ayrton,
come lo chiama lui, in barca, in Brasile – e
senti che gli occhi ti si fanno un po’ liquidi.
«Mio nipotino Bruno è già fortissimo,
vedrete». Eccolo qui, Ayrton, lo vediamo:
assunto dalla tua ultima scuderia, con quel
casco dannatamente simile al tuo, e gli stes-
si occhi scuri, profondi, che interrogano il
mondo. Lo sguardo di Ayrton era un fuoco
che bruciava dentro le contraddizioni del
mondo, uno sguardo da profeta e da eroe
moderno. Quello di Bruno, per ora è un
fascio di luce puntato sul futuro, che inevi-
tabilmente colpisce lo specchio dei ricordi
e torna indietro, illuminando tutto ciò che
è stato, ciò che non è stato, ciò che poteva
essere. Pensare che Bruno Senna quest’an-
no correrà con la Williams, il team con cui
Ayrton è morto quel fatale primo maggio a
Imola, è un’emozione inquietante. Anche
perché la Williams – Frank Williams,
Patrick Head – hanno dovuto affrontare un
lungo processo per dimostrare che no, non
è stato il piantone dello sterzo troppo fra-
gile a estrarre Ayrton il Mistico dalla cro-
naca e consegnarlo brutalmente alla leg-
genda. Quando Senna se ne andò, i pensie-
ri trafitti dal braccetto di una sospensione,
Bruno aveva appena 11 anni, ma aveva già
deciso, lo dice nell’intervista che trovate in
queste pagine, che le corse sarebbero state
il suo destino. Non ha voluto, non ha potu-
to sottrarsi alla chiamata, nonostante il
ghiaccio che è sceso nel cuore a sua madre,
la sorella di Ayrton, che in pista ha lascia-
to più di un brandello di cuore e che per un
periodo ha tentato di dissuaderlo.
La carambola che lo ha portato a Grove può
sembrare casuale, e forse lo è. Dettata dalla
contingenza, dalla crisi dellaWilliams, dagli
sponsor brasiliani e dalla voglia di tutti di
dare una spinta ad una grande storia, di leg-
gere un titolo ad effetto: «Un altro Senna
allaWilliams». Ayrton avrebbe detto proba-
bilmente che no, il caso non esiste. Che c’è
un Grande Disegno nascosto dietro l’appa-
renza del mondo. A Grove hanno spiegato
che trattasi di scelta tecnica, non finanzia-
ria. «Bruno ha iniziato a correre solo a 20
anni, ma ha dimostrato il suo talento inGP2
e in F.3», ha spiegato sir Frank con la sua
voce sottile, tenuta su dal ferro di tante vit-
torie, e ossidata da tante tragedie. «In F.1 ha
corso per due anni su macchine che non gli
hanno dato l’occasione di essere sempre
competitivo, era essenziale valutarlo come
pilota. Lo abbiamo fatto sia in pista sia nel
simulatore e si è dimostrato veloce, tecnica-
mente perspicace (chissà se Ayrton avrebbe
usato questo termine, ndr…) e in grado di
apprendere in modo rapido e coerente le
novità. Ora non vediamo l’ora di vedere il
suo talento nella sua auto da corsa». Mark
Gillian, l’ingegnere di pista di Bruno ha sot-
tolineato che le decisione finale è stata pre-
sa anche in base all’«impatto umano con la
squadra». Possiamo immaginare che
impatto deve aver avuto sulle vecchie ani-
me callose e luminose di Frank e Patrick
rivedersi davanti l’Avatar del campione che
morì sulla loro macchina, il nipotino del
mito. Anche a noi piace pensare che ci sia
qualcosa di più di una manciata di conve-
nienza, di pubblicità, di denaro che passa da
una banca brasiliana a una inglese, dietro
l’avventura che inizierà ai prossimi test.
Nessuno può capire le emozioni che vive un
pilota quando abbassa la visiera, Ayrton
diceva così. Chissà che a Bruno, la prima
volta che indosserà il casco e si infilerà den-
tro l’abitacolo della FW34, non appaia tut-
to improvvisamente chiaro, come rischiara-
to da una luce che viene da lontano.
Bruno Senna al simulatore
della Williams