Tatuus iMagazine - page 27

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di Stefano Semeraro
Giovanni Delfino, quanto sono state
importanti nella sua storia personale le
esperienze con Ferrari, Alfa Romeo e Abarth
per affrontare le sfide attuali?
«Io sono di Arese, mi svegliavo la mattina e
vedevo l’insegna dell’Alfa Romeo: questo mi ha
aiutato a crearmi un’idea su cosa avrei fatto da
grande. Come la maggior parte degli studenti di
ingegneria uno dei desideri maggiori era quello di
sfociare nel mondo delle competizioni. Mi sono
laureato in Alfa Romeo, nel ramo produzione e
mentre facevo i miei stage per tesi e tirocinio
universitario ho avuto la fortuna di entrare in
contatto con il reparto corse, che era distinto da
Alfa Romeo produzione perché già “subappaltato”
a N.Technology, il gruppo di lavoro di Alfa Corse.
Nel 2001 mi è stato chiesto di entrare a far parte
di N.Technology; il mio percorso quindi è iniziato
lì. Alfa Corse svolgeva le attività sportive del
gruppo Fiat, che in quel momento ‐ se si esclude
la Ferrari ‐ erano concentrate in Alfa Romeo e nel
mondo del turismo, delle vetture a ruote coperte.
Io da subito ho chiesto di essere assegnato alle
attività di pista e per carenza di personale in quel
settore sono entrato a far parte del gruppo.
Durante quel periodo ho avuto la possibilità di
sviluppare insieme a Ferrari Corse Finite una
vettura Gran Turismo, prima 550 poi 575 Gt.
Lavorando con Alfa Corse e Ferrari Corse Finite,
ho imparato ad approcciare in maniera scientifica
e tecnologica i problemi: niente veniva lasciato al
caso, tutto doveva essere testato, provato,
analizzato e riprovato in pista. Per me è stato
importante poter apprendere metodologie che ho
poi trasferito nelle successive esperienze. Oggi
quando affronto un discorso nuovo, so come
partire e proseguire nell’iter grazie a
quell’esperienza».
Com’è nata Autotecnica e quali sono i campi
di intervento?
«Ai tempi di Alfa Corse e di N.Technology, i
motori gara che equipaggiavano le vetture di
Tarquini, Giovanardi, Farfus nascevano
nell’Autotecnica di allora, creata da Edo Riboldi e
Roberto Federici. Avendo a che fare con l’attività
di pista, ho conosciuto molto bene Edo Riboldi.
Ho collaborato con lui in pista e successivamente
anche presso la sua struttura. Quando i due soci
hanno pensato di dismettere la società, ma allo
stesso tempo desideravano che l’attività
proseguisse, hanno individuato in me e nel mio
attuale socio, Renzo Federici, figlio di Roberto,
una continuità ideale.
L’altro insegnamento grosso di Alfa Corse è che ci
sono ruoli e mansioni che vanno rispettati. Avere
con me un socio che si occupa della parte
operativa, quindi delle costruzioni e delibere in
sala prove, è fondamentale perché io mi possa
occupare della parte strategica, amministrativa,
anche della parte tecnica ma non come routine.
Autotecnica è nata con l’idea di dividere i ruoli, di
individuare figure che potessero rapportarsi
anche verso l’esterno con ruoli differenti nella
gestione delle cose. L’Autotecnica di oggi è nata
come riqualificazione di un’azienda che viveva
della genialità di due persone che l’hanno portata
avanti per 30 anni (era nata nel 1977), ma con una
impronta più strutturata, con amministrazione,
ufficio tecnico, produzione, tutti elementi che ho
vissuto nel mio passato e che ho capito potevano
dare plusvalore all’azienda. Ogni anno investiamo
proprio per essere meno artigianali e più azienda.
Il primo anno abbiamo ricostruito la sala prova, il
secondo anno abbiamo investito nella
costruzione di uffici; il terzo nella costruzione di
un magazzino. Quest’anno nell’acquisizione di
centri di lavoro per ‘portarci in casa’ la
produzione di pezzi che poi sperimentiamo sui
motori. L’anno prossimo allestiremo una seconda
sala prova. Ogni anno facciamo un passo, non più
lungo della gamba, che ci permette di precedere i
tempi. Pur essendo in un momento di crisi,
riteniamo che investire oculatamente sia un buon
biglietto da visita».
Quali sono oggi le sfide di un motorista
nell’ambito racing in Italia? Quali le
prospettive?
«Dal punto di vista del motorista, purtroppo i
regolamenti stanno privilegiando il contenimento
dei costi. Si parte da motori di serie e motori di
serie devono rimanere, in tante categorie. Per
quanto riguarda la Tatuus, il Cn2 è una vettura
equipaggiata da un motore Honda che per tanti
aspetti deve rimanere stradale; il Formula 4, il
Formula Abarth sono equipaggiati da motori che
pur essendo monomarca ‐ quindi in teoria uno
potrebbe farci ciò che ci vuole… ‐ vengono lasciati
per tanta parte di serie. Stanno decadendo i
regolamenti tipo Super 2000 o Gruppi A di una
volta che permettevano di inventare. Oggi quindi
il nostro target è unirci agli sviluppi che i
costruttori vogliono utilizzare come piattaforme
della loro produzione. Siamo partner di Mugen
per la collaborazione per la PY 012 e da questo
probabilmente scaturiranno commesse future.
Siamo partner di Fiat e Abarth per il Formula 4,
ed è importante perché loro affideranno ad
Autotecnica eventuali sviluppi e commesse di cui
non possono farsi carico. Un’altra parte delle
strategie future è puntare alla globalizzazione.
Abbiamo già avuto contatti con clienti americani,
australiani e cinesi. Per noi è fattore di orgoglio
che si cerchi dall’estero il contatto di un’azienda
che ha un personale tra le 15 e le 18 persone. E’ un
veicolo per farci conoscere fuori dai confini
nazionali. Per riuscirci dobbiamo puntare ad
essere partner di un costruttore come Tatuus, e di
aziende come Fiat, Abarth, Mugen, o Brabham
per cui stiamo sviluppando un prototipo, o altri
costruttori che elevino il livello tecnico del lavoro
che noi produciamo».
Come è nata e come si è sviluppata la
collaborazione con la Tatuus? Quali i progetti
comuni più importanti?
«Con Tatuus il rapporto è nato ai tempi del
Formula Master, che alle origini aveva problemi
di motore. Ero stato contattato per un’opinione
personale ‐ all’epoca lavoravo per il gruppo Fiat ‐
poi nel giro di 6 mesi si è passati alle mie
dimissioni e al mio ingresso in N.Technology, che
nel frattempo era diventata un ente a se stante.
Di lì la mia collaborazione quotidiana per circa
due anni con il personale Tatuus, che ha
competenze vastissime e un know‐how
‘esagerato’. E’ una realtà con cui ci si può
confrontare tecnicamente. Nel 2008 ho deciso di
intraprendere questa nuova avventura. Il contatto
era andato perso perché Tatuus lavorava con
Renault, ma la stima nata col Formula Master era
rimasta tale e quando c’è stato da ricominciare su
nuovi progetti, De Bellis e Sandonà hanno
pensato ad Autotecnica per la costruzione dei
motori. Noi abbiamo fatto il massimo per
soddisfarli e sono nate tre commesse importanti.
La Formula Abarth, con successi e soddisfazioni
da parte dei clienti anche in un momento in cui i
team erano già sfiduciati, e in un contesto
economico che non aiutava più ad investire sulla
categoria. La Formula 4 rappresenta un grande
potenziale e una grande sfida perché oggi l’Italia
ha l’onere e l’onore di organizzare il primo e
unico campionato di Formula 4. Tatuus è il
costruttore, i motori sono Abarth, di cui noi
prenderemo in mano la gestione. E’ una vetrina
internazionale, dobbiamo tutti dare il 110% per
ottenere un prodotto affidabile, che abbia appeal,
il cui contenitore sia di gradimento per team e
piloti perché siamo convinti che sviluppando un
prodotto con queste caratteristiche saremo prima
o poi altre realtà nazionali nazioni ci
coinvolgeranno nella costruzione di nuove
vetture. E’ una prova del sistema Italia: nel nostro
piccolissimo cerchiamo di dare una mano, perché
la tecnologia italiana ha ancora fascino e visibilità
all’estero.
Py012 infine è nato parallelamente alla nostra
ripresa dei contatti con Tatuus; è stato un
prodotto più difficile da mettere a punto e tuttora
lo stiamo sviluppando. E’ un prodotto diverso,
I fondatori: Giovanni Delfino e Renzo Federici
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