Background Image
Previous Page  25 / 78 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 25 / 78 Next Page
Page Background

25

McLaren

piede

e genio

Scomparso 45 anni fa, il 2 giugno del 1970, Bruce McLaren

può essere ricordato come uno dei talenti più cristallini nella storia

delle corse, sia da pilota, sia da costruttore. Una vita finita troppo presto,

la sua, ma comunque unica e ricca di incredibili successi

Carlo Baffi

Dal 1966 al 2015, con 767 gran premi disputati in F.1. Quella

della McLaren è una storia lunga quasi mezzo secolo, in cui la

scuderia inglese è divenuta un top team del Circus: 182 vitto-

rie, 155 pole position, 12 mondiali piloti e 8 costruttori. Chissà

se il suo fondatore, Bruce Leslie McLaren, pensava di arrivare

a tanto? Nato il 30 agosto del 1937 ad Auckland in Nuova Ze-

landa, McLaren trascorre un’infanzia condizionata dalla sin-

drome di Legg Perthes, una patologia degenerativa che

colpisce le giunture conofemorali. Ricoverato in una casa di

cura per circa due anni, dove resta a lungo in trazione muoven-

dosi solo con le stampelle, Bruce riesce a guarire quasi com-

pletamente. Gli resterà soltanto una leggera zoppia. Tornato a

casa, McLaren cresce con la passione per i motori. Frequenta

un college, dove conseguirà il titolo di studio di ingegnere e nel

tempo libero, si diverte a restaurare vecchie auto. E’ il viatico

verso le competizioni motoristiche. Bruce esordisce nelle gare

locali con ottimi risultati, tanto da venire selezionato per il pro-

gramma “Driver in Europa” dopo il G.P. di Nuova Zelanda (non

valido per la F.1). Partito alla volta dell’Inghilterra e aiutato dal

connazionale Jack Brabham, suo mentore, Bruce approda alla

Cooper, dove inizia a cimentarsi al volante di una F.2, monopo-

sto che può correre insieme alle F.1. E’ la chance per il grande

salto nella categoria regina, che ha luogo il 3 agosto del ’58, sul

temibilissimo Nurburgring, sede del G.P. di Germania. Nella

corsa funestata dalla morte del ferrarista Peter Collins, McLa-

ren parte dalla 4^ fila e risale fino al 5° posto. Nella stagione

successiva arriva la prima vittoria. E’ il 12 dicembre e a Sebring

(G.P. USA), e la Cooper può celebrare sia il titolo mondiale di

Brabham che il trionfo di McLaren, il più giovane vincitore di GP

fino a quel momento (22 anni e 80 giorni). Malgrado venga pro-

mosso prima guida alla Cooper, il 2 settembre 1963 Bruce de-

cide di fondare una propria scuderia: la Bruce McLaren Motor

Racing Ltd. Compagno d’avventura è l’avvocato americano

Teddy Mayer. Di li a poco seguirà la partecipazione vittoriosa

alla Tasman Cup, preludio allo sbarco in F.1, che andrà in scena

Il 22 maggio del 1966. Sulle stradine del Principato di Monaco

muove così i passi la prima McLaren della storia, ovviamente pi-

lotata da Bruce. Parte 10° e si ritira al 10° passaggio, per una

perdita d’olio. Ma quella stagione verrà ricordata per via di un

altro importantissimo risultato, targato McLaren: il trionfo nella

24 Ore di Le Mans, in coppia con Chris Amon a bordo di una

Ford GT40 Mark II. I successi nelle prove di durata porteranno

alla McLaren i finanziamenti necessari per proseguire l’avven-

tura nel Circus. Nel 1968, Bruce s’impone nella Race of Cham-

pions a Brands Hatch ed il 9 giugno, a Spa, ottiene il primo

trionfo con la sua creatura in F.1. Un successo inaspettato per

il neozelandese, che nel corso dell’ultimo giro non si accorge

che Jackie Stewart è rientrato ai box per un rabbocco di ben-

zina. La factory del neozelandese coglierà nuovi successi, ma

non con Bruce, che si consolerà dominando la Can-Am insieme

a Denis Hulme. Si arriva così al tragico 2 giugno 1970, 45 anni

fa. Durante un test a Goodwood, la M8D realizzata per la Can-

Am e guidata da McLaren perde una sezione della coda men-

tre viaggia a circa 270 km orari. Sbatte contro le barriere, si

divide in due e poi prende fuoco. Una dinamica drammatica

che non lascia scampo al pilota, che a soli 32 anni e con 101

GP alle spalle, lascia la moglie e la figlia di 4 anni. Nonostante

il duro colpo, il team andrà avanti, dapprima gestito da Meyer

e successivamente da Ron Dennis, entrando nella cosiddetta

dimensione di vertice.