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6 Mag [0:48]

IL CASO - Kvyat bocciato in Cina
La Red Bull ha giocato col fuoco

Stefano Semeraro - Photo 4

Ma cosa succede agli austriaci? No, non ai politici che vogliono costruire muri, ma agli sportivi. Al team di F.1 governato da Herr Dietrich Mateschitz: la Red Bull. L’umiliazione di Daniil Kvyat, degradato sul campo dopo il doppio botto di Sochi, e la contemporanea promozione di Max Verstappen al suo posto, ha fatto sussultare il Circus. Helmut Marko, che di Mateschitz, molto più di Chris Horner, è insieme l’eminenza grigia e il braccio armato, ha provato a spiegare la vicenda da una parte con gli attriti definiti "inconciliabili" fra Verstappen e Sainz junior alla Toro Rosso, e dall’altra con la pressione che il pilota russo si sarebbe "creato da solo" in seguito alle scarse performance di quest’anno.

«Daniil è regolarmente dai tre ai cinque decimi di secondo più lento di Ricciardo», ha dichiarato, «mentre l’anno scorso era alla stessa altezza». Conclusione: tornare sulla nobile panchina della Toro Rosso («un ottimo team da metà griglia») gli consentirà di ritrovare la serenità perduta. «Non abbiamo rimosso Kvyat», ha concluso Marko con un tono pilatesco che non gli appartiene. «Tutti e quattro i piloti hanno con noi un contratto a lungo termine».

In altre parole: se c’era qualche residuo dubbio che la F.1 fosse uno sport di squadra, eccolo - questo sì - definitivamente rimosso. La Red Bull e la Toro Rosso sono una squadra e Marko è l’allenatore che decide i cambi, chi entra e chi esce, anche a campionato in corso (a quando le sostituzioni durante il GP?).
Peccato che l’automobilismo non sia il calcio, e che in pista si rischi la vita, non un semplice autogol. Se sarà confermato, come suggeriscono alcune fonti, che Kvyat era stato già avvertito della retrocessione dopo il GP di Cina - dove era salito sul podio, infilando Vettel in partenza! -, be’, allora significherebbe che la Red Bull, e in particolare Marko, stanno giocando con il fuoco.

Per carità, non è una novità. Jenson Button per primo ha scosso la testa, commentando amaramente la faccenda: «Una gara sbagliata e sei fuori? E allora il podio della gara precedente? No, alla Red Bull non cambieranno mai…». Herr Helmut, soprattutto, non cambia mai. Fa e disfa con piglio teutonico, crea e distrugge talenti con la facilità con cui si sposta una pedina. E’ successo in passato, a tanti: a Buemi, ad Alguersari - cacciato perché reo di aver rallentato Vettel in una occasione - a Bourdais, a Speed, tutti bruscamente accantonati.

Ora Marko ha deciso di puntare sul talento fresco di Verstappen, e sicuramente promuoverlo in corso d’opera aumenta il valore di mercato dell’olandese. Sempre che Max, messo improvvisamente sotto il torchio mentale di dover fare subito meglio di Ricciardo per non incorrere nell’ira del boss, non finisca anche lui per collassare. I campioni sono tali anche perché reggono le situazioni di stress, certo - ma allora perché non era sostenibile lo stress, comunissimo nelle corse, di non andare d’accordo con il compagno di squadra? - i giovani buttati allo sbaraglio senza un minimo di cautela però rischiano di bruciarsi in fretta. Troppo in fretta.

Come forse è capitato a Kvyat, che sentitosi buttato in un angolo appena sceso dal podio di Shanghai, a Sochi (la gara di casa tra l'altro) vi è arrivato in tilt, e quando si è visto davanti Ricciardo ha tentato disperatamente di passarlo, per dimostrare in extremis di valere ancora il sedile che occupava, finendo contro Vettel. Con il rischio di farsi male, molto male. E di farlo agli altri. Bruciati verdi, si dice. Ma forse in questo caso dovremmo dire bruciati rossi.