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una soluzione ideale per chi vuole curiosare
un po’, ma anche dal punto di vista delle
scuole e dell’Università (STEM, Science
Technology Engineering and Mats, ndr). Con
queste ultime stiamo attivando programmi
che mettono insieme l’aspetto
dell’enterteinment – che interessa molto
l’IZOD IndyCar perché potenzialmente
incrementa i fan – e quello educativo, che
invece preme ai college, quasi tutti privati,
che hanno così un’arma in più per attirare
i futuri ingegneri da impiegare nel settore
automobilistico, anche se non
obbligatoriamente nel motorsport. La zona
interattiva del museo si pone quindi come
uno strumento perfetto per entrambe le
esigenze. La presentazione è molto semplice,
con fotografie e filmati attivabili in
modalità touch-screen che spiegano in
maniera anche molto elementare i principi
della fisica e della meccanica, e illustrano la
ricerca sui materiali e sulla sicurezza che la
nostra azienda applica al motorsport, oltre
ad un filmato di dieci minuti che racconta
la storia personale e professionale
dell’ingegner Dallara e dell’azienda».
Qual è la situazione del motorsport
d’Oltreoceano, sia dal punto economico sia
da quello del gradimento dei fan?
«
Nelle corse americane esistono
essenzialmente due blocchi separati: da una
parte la Nascar, dall’altra tutto il resto. Sia
da un punto culturale – perché la Nascar,
che pure oggi è popolare ovunque,
ha le sue radici negli stati del sud – sia dal
punto di vista del marketing, come dimostra
anche la risonanza che avuto la pole di
Danica Patrick a Daytona. Lo scopo della
Nascar è creare la figura del pilota “eroe”,
attraverso una serie di nuovi personaggi
che servono come piattaforma per
invogliare gli investimenti degli sponsor.
Attraverso l’utilizzo di particolari
carrozzerie, di spoiler e bumper si tenta
inoltre di rendere l’immagine della vettura
che corre simile a quella dei veicolo di
produzione che chiunque può acquistare.
L’IZOD IndyCar questo evidentemente non lo
può fare. La Nascar ha ancora un rating
televisivo molto valido, anche se forse le
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