Tatuus iMagazine - page 9

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Eugenio Bardoscia, 39 anni, alla Tatuus dal 2004, è
ingegnere aeronautico e proviene dal dipartimento
di ingegneria aerospaziale di Pisa. «A Pisa tutt’ora
si impara la Cfd, la Fluidodinamica
computazionale – spiega Bardoscia ‐ I primi
approcci li ho avuto lì, anche se le prime
applicazioni non riguardavano il motorsport».
Ci racconta il suo percorso professionale?
A fine anni ‘90 a Pisa ho lavorato in settori
altamente specializzati. In quegli anni partirono
progetti in collaborazione tra Ferrari e il mio
dipartimento per verificare l’efficacia del Cfd così
da affiancarlo a quello tradizionale della galleria
del vento. Questo tipo di indagine numerica fu poi
estesa ad altri settori altamente competitivi, ad
esempio alle barche di Coppa America. Fino a
metà anni 2000 gran parte delle riviste che si
occupavano di Cfd avevano come oggetto
principale di studio il motorsport o l’ambiente
automotive. Ora questo strumento si è talmente
diffuso che il motorsport è diventato quasi una
nicchia, perché la simulazione ha preso piede in
tutti i campi».
In cosa consiste la Cfd e quali sono le sue
applicazioni attuali?
«L’evoluzione dei software permette ormai di
legare la simulazione dei fluidi a quella strutturale;
accoppiare questi due risultati per ottenere valori
che aiutino nelle scelte progettuali, prima ancora
di costruire il primo prototipo, è un grande
vantaggio. Ormai si parla di progettazione guidata
dalla simulazione.
Le diverse fasi del progetto si devono integrare e
confrontare».
Come viene utilizzato questo compromesso
vincente dalla Tatuus?
«Io mi occupo principalmente di simulazioni
fluidodinamiche. Da quando è stato introdotto
questo strumento in azienda tutte le nostre
macchine sono passate attraverso questo tipo di
indagine preliminare, che è stato impiegato
abbondantemente anche per il progetto del
prototipo. E’ un punto di inizio per lo sviluppo e
per ciò che avviene poi quando la scala diventa 1 a
1. Potrebbe essere visto come primo punto di
arrivo per gli studi della Cfd, perché per arrivare
alla definizione di quelle linee ne sono state
vagliate tante altre, con forme completamente
diverse, una scrematura che poi ha via via
permesso di “congelare” le varie parti della
macchina. In seguito sono state affinate, e col
passare del tempo lo saranno ancora di più, ma
quello è un primo risultato degli studi a monte».
Per una azienda come la Tatuus che importanza
hanno queste tecnologie?
«Forse proprio perché la Tatuus è un’azienda di
piccole dimensioni ha più senso utilizzarle.
Disponendo di budget limitati, un numero elevato
di simulazioni preliminari permette di sbagliare
meno in seguito. Realizzare un modello da galleria
del vento non ha un costo trascurabile: tanto più si
riesce a simulare a monte, tanto meno si perde
tempo dopo. Qui si innesta anche il discorso
legato alle risorse di cui questo strumento
necessita. Il costo dell’hardware negli ultimi 10
anni è andato in picchiata, quindi ora si può
pensare di reinvestire in altri modi, ad esempio
aumentando il numero delle licenze per i software,
il cui costo rimane elevato».
Non si arriverà mai ad avere una macchina
completamente pensata in laboratorio?
«Ci hanno già provato in Formula 1, con
l’esperimento della vecchia Virgin, che si diceva
fosse stata completamente progettata in
laboratorio. Ma è un compromesso: ogni misura
sperimentale, finita la galleria, ha i suoi margini di
errore e di incertezza. Si validano l’una con l’altra
ma vanno anche validate dalla pista. Storicamente
la galleria ha vissuto senza la Cfd, ma ora la Cfd
può dare quell’aiuto che permette di spendere
meno in galleria».
Qual è il progetto che la coinvolge di più al
momento?
«Il prototipo: una macchina nuova che non aveva
una tradizione consolidata in azienda, anche se
tutte le conoscenze del Formula sono state
riversate nel progetto. Siamo partiti da un foglio
bianco, e giorno dopo giorno ci siamo scontrati
con nuovi problemi da risolvere. Anche in
prospettiva offre gli spunti più interessanti.
E’ come girare pagina e ricominciare da capo,
sempre stimolante. In più, grazie a strumenti che
sono molto flessibili, possiamo accogliere le
richieste più disparate, e fare sviluppo a 360 gradi.
Tutto ciò che è aria, o fluidi che si muovono
intorno, può essere in qualche modo simulato e
affinato».
Crede, proprio per questo motivo, che in futuro la
Tatuus possa occuparsi anche di progetti esterni al
motosport?
«Tutto va nella direzione di un incontro
dei vari settori. La storia dell’azienda
ci dice che costruiamo macchine da corsa
perché all’inizio c’erano persone che avevano una
passione e l’hanno fatta diventare un business.
Altre passioni potrebbero dunque diventare
oggetto di lavoro, per gusto personale o interesse.
E se parliamo di fluidi che si muovono,
aerei o barche potrebbero rappresentare una
bellissima evoluzione».
Eugenio Bardoscia
“Con l’integrazione fra Cfd e galleria del vento
è cambiato il modo di progettare”
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