Tatuus iMagazine - page 5

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Corrado Casiraghi
«Nessuna rigidità e collaborazione
con i team, questo è lo stile Tatuus»
Corrado Casiraghi, laureato in Ingegneria
Aeronautica al Politecnico di Milano, è una delle
giovani colonne della Tatuus. Segue la
progettazione, in particolare quella che riguarda
l’aerodinamica, e cura l’assistenza tecnica ai
team. «Alla Tatuus sono arrivato portando il
curriculum – spiega – mentre la passione per i
motori l’ho sviluppata per… osmosi, essendo nato
e cresciuto appena fuori dal circuito di Monza».
Come è organizzato il lavoro alla Tatuus?
«Non essendo una grande realtà non ci sono
ruoli rigidamente definiti e questo è positivo.
Il lavoro quindi varia dalla progettazione dei
componenti all’assistenza ai team durante i test.
Seguo la progettazione fino a un certo punto,
poi nel momento in cui comincia l’attività in
galleria del vento passo alla parte più
sperimentale rispetto a quella puramente di
disegno.
Quando mi occupo dei team l’istruzione
rappresenta il grosso del lavoro, soprattutto dal
punto di vista della gestione della macchina e dei
dati che vengono acquisiti. Ad esempio, se
parliamo degli ultimi due nostri progetti, la
Formula Abarth e il Prototipo, la grossa
differenza rispetto a macchine per noi
“tradizionali” come quelle della Renault 2000, è
che la quantità di informazioni da raccogliere, e
che il team può utilizzare, è molto superiore,
poiché la complessità dei sistemi di acquisizione
a sua volta è cresciuta molto.
Quindi c’è tanto lavoro di istruzione, anche di
base, al di là dello studio degli assetti o del lavoro
puramente tecnico che varia da team a team. Noi
cerchiamo di dare il massimo supporto in modo
che siano i team a crescere e a far crescere di
conseguenza le prestazioni delle macchine».
Ci può parlare più in dettaglio degli ultimi due
progetti?
«L’Abarth è un progetto interessante, nel senso
che contenimento dei costi e tempi di
realizzazione sono stati gli obiettivi prioritari.
Abbiamo quindi cercato di fare il meglio
possibile già in stadio di progettazione,
integrando studi fatti per altre vetture. Per la
Sport abbiamo avuto un po’ più di tempo.
Stiamo ancora imparando come funziona il
concetto della macchina, e lavorando sullo
sviluppo per migliorarla. E’ stato molto
istruttivo per noi perché ci sono aspetti nuovi ‐
impianti in vettura, luci, impianti benzina per
le gare di durata ‐ che non avevamo mai
considerato prima».
In che cosa si distingue l’approccio italiano
all’engineering?
«L’approccio italiano è più versatile ed elastico di
quello inglese. Una volta dato un sistema, in
Inghilterra difficilmente viene stravolto. Da noi si
dà più peso all’aspetto della gestione in pista, del
costo della macchina rispetto al puro approccio
tecnico e di performance. E in Italia abbiamo
esempi di progettisti che riescono a ottimizzare il
rendimento complessivo anche dal punto di vista
delle prestazioni, non solo da quello della
gestione».
Un esempio?
«L’inizio di tutto è forse stato il telaio in fibra di
carbonio in Tatuus, anche se io non lavoravo
ancora qua. Probabilmente agli occhi di un
inglese allora sembrava impossibile fare una
macchina a quei costi con un telaio in fibra di
carbonio, perché il suo concetto di telaio è
l’unico che conosce, cioè quello della Formula 1.
E’ chiaro che non può avere le prestazioni della
Formula 1, perché è evidente che non avrà gli
stessi materiali, le stesse finiture: tante cose
vanno sacrificate per il contenimento dei costi.
Per chi è nato nella cultura anglosassone
dell’engineering è più difficile prendersi questo
rischio».
Qual è il progetto che la entusiasma di più?
«A me piacciono molto le vetture Sport, che
stiamo iniziando a conoscere, e che
appartengono a una realtà più compatibile con la
nostra rispetto alla Formula 1. La Formula 1 è a
ordini di grandezza di distanza. I progetti P2
sono ancora al di sopra di quello che abbiamo
realizzato in passato, ma non sono
filosoficamente incompatibili. E’ il prossimo
traguardo che vedo, molto impegnativo ma
molto affascinante».
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