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di Stefano Semeraro

Marco Antonelli, come è nata l'idea di

partecipare alla F.4?

«L'idea di partecipare è nata dalla passione che ho

sempre avuto di lavorare con i giovani. Mi

trasmettere la mia esperienza, avrei voluto farlo

anche nel passato. Poi mi affascinava l'idea di

lavorare nel mondo delle Formule e vedevo la F.4

vicina alle corde di un team come Antonelli

Motorsport, che non ha esperienza con le ruote

scoperte. Mi è sembrato un giusto compromesso

fra livello tecnico e possibilità di ottenere subito

risultati».

Quali sono fino ad ora i riscontri?

«Posso dire che sono convinto di avere fatto una

delle scelte più belle della mia carriera lavorativa.

Con la soddisfazione, inoltre di averci “visto

giusto”. I riscontri, non solo da parte mia, sono

molto positivi, la categoria è in grande crescita.

Ora dobbiamo essere tutti bravi e attenti a non

farci scappare di mano la situazione, contenendo i

costi. I team devono capire che il budget ormai si

fa sui numeri, non sul singolo elemento a cui

chiedere cifre che oggi non sono più pensabili.

Altre categorie sono nate, e cresciute a dismisura,

ma poi anche morte in fretta. La F.4 invece deve

durare a lungo, e la responsabilità è dei team. Lo

dico sempre: meglio prevenire che curare. Il

nostro impegno come Antonelli Motorsport è di

mantenere prezzi molto, molto vicini a quelli

indicati all'inizio dalla Fia, cercando di offrire nel

contempo una buona qualità. I risultati li stiamo

facendo, e se lavori in modo corretto, a prezzi

accettabili, finisci anche per invogliare altri a

unirsi a questa categoria».

Ci può parlare del suo rapporto con la

Tatuus? Cosa apprezza dell'azienda di

Concorezzo?

«E' un rapporto nato molto serenamente. Siamo

stato accolti come se fossimo clienti da anni, in

modo splendido. Il loro punto di forza è gestire i

clienti mettendosi per primi loro a disposizione in

tutto per tutto, un aspetto molto apprezzato dai

team. Per quanto riguarda la F.4 siamo stati noi

della Antonelli Motorsport il primo cliente in

assoluto a ordinargli due macchine. Credo ne

siano stati contenti, perché vedere un team

storicamente a “ruote coperte” lanciarsi per primo

in questa avventura ha dato indubbiamente un

po' di carica. Ha mostrato subito che il progetto

era vincente».

Correre sia in Gt sia ora nelle formule che

problemi presenta?

«Nessuno in particolare. Abbiamo strutture

diverse per ogni campionato a cui partecipiamo, e

ciascuna è autonoma e in grado di gestirsi. Il mio

obiettivo è anche di offrire una opportunità a

ragazzi di talento, che però dopo uno‐due anni di

apprendimento e miglioramento non hanno il

budget per proseguire l'avventura nelle formule, e

cercano uno sbocco con le ruote coperte.

L'esempio è Matteo Cairoli: l'anno scorso ha fatto

con me la Carrera Cup, ha vinto campionato e ora

è pilota ufficiale Porsche».

Con lei corrono anche un padre e figlio, i

Galbiati...

«Il padre ha cominciato a correre con me, è il

classico pilota gentleman con una grande

passione per l'automobilismo. Da giovane non

poteva permetterselo, ha iniziato tardi, ma è

Joao Vieira