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Il vostro studio come è strutturato, di quali settori si occupa e quali

sono le competenze che può offrire a chi – piloti, team, factory... ‐

opera nel Motorsport?

«LCA è uno studio dinamico e votato all’internazionalità. È specializzato

nell’assistenza legale d’impresa e ha sede in Italia, a Milano (headquarters),

Genova e Treviso (presso l’incubatore tecnologico H‐Farm), e negli Emirati

Arabi Uniti, a Dubai. Siamo uno studio multipractice che offre un largo

spettro di servizi ai propri clienti. LCA assiste principalmente imprese. Le

factory sono per definizione delle cosietà. I team sono spesso strutturati

sotto forma di azienda. Anche i piloti sono ormai delle vere e proprie

aziende con fatturati di tutto rispetto. Gli attori del motosport sono dunque

un target ideale per gli studi legali strutturati come il nostro che assistono

principalmente imprese. Il nostro dipartimento di diritto societario segue le

factory e i team dalla A alla Z, non solo con riferimento a eventuali

operazioni straordinarie, come quella di cessione della maggioranza di

Tatuus, ma anche con riferimento alla loro attività day‐by‐day che varia

dalla distribuzione di autovetture, ai rapporti con fornitori e clienti e alla

gestione in generale di tutte le tematiche legali d’impresa. Il nostro

dipartimento di proprietà intellettuale ha grande esperienza nella

predisposizione e nella negoziazione di contratti di sponsorizzazione piloti

e team e di contratti relativi ai diritti di immagine di sportivi e personaggi

noti. Gestisce i portfoli marchi di sportivi e team, non solo del motorsport.

Si occupa poi della tutela delle varie invenzioni e innovazioni dei team e

delle factory, brevettando le soluzioni tecniche da questi adottate.

Naturalmente, in un mondo sempre più dominato dai media, ci

occupiamo anche di diritti televisivi.

Il nostro dipartimento di diritto del lavoro gestisce da anni la

contrattualistica di alcuni piloti. Non dimentichiamoci però dei

contenziosi sportivi relativamente ai quali il nostro

dipartimento di litigation ha maturato un’esperienza

significativa».

Ci spiega cosa sono i vari 'fondi' che sono diventati

protagonisti anche del Motorsport e come operano?

«Detto in parole povere, i fondi di private equity sono dei

fondi che raccolgono capitali da privati e investitori

istituzionali (quali banche, fondazioni, compagnie di

assicurazione) per poi investirli in società non quotate ad alto

potenziale di crescita. L’obiettivo di tali fondi è quello di

accompagnare le società target in un percorso di crescita per poi

rivenderle, realizzando un profitto, o quotarle in borsa».

Ha seguito l'acquisto della F.1 da parte di Liberty Media

Group? Trattative di questo tipo quanti attori richiedono?

«Certamente, è stata una delle più importanti operazioni

degli ultimi anni in campo sportivo con un enterprise value di 8

miliardi di dollari e un equity value di ben 4.4 miliardi di dollari.

Gli attori principali in questo tipo di trattativa sono ovviamente il

fondo che acquista, i venditori e i loro advisor legali e finanziari».

Immaginiamo un ipotetico contratto fra un pilota e un team: da cosa

si parte, quali sono le condizioni da inserire, quali i 'trucchi'?

«I trucchi variano in funzione della parte che assisti. Se assisti un team

cerchi ovviamente di “sfruttare” il più possibile il pilota prestando minori

garanzie possibili, mentre quando si assiste il pilota si cerca ovviamente di

ottenere più concessioni possibili non solo da un punto di vista economico

ma anche dal punto di vista delle tutele. Le principali tematiche che

vengono affrontate sono comunque la durata e l’ammontare dell’ingaggio, i

premi legati alle performance del pilota (podi, vittorie di campionati), i

diritti legati all’immagine del pilota e del team, le sponsorizzazioni, il

merchandising, le tutele assicurative, i costi legati ai collaboratori personali

del pilota. Vengono poi trattati altri temi all’apparenza banali e marginali

ma che spesso non lo sono affatto, come la titolarità dei trofei vinti, la

tipologia di spazi da consacrare al pilota all’interno dei paddock, il numero

di pass gratuiti che il pilota può regalare al suo entourage e ai propri

sponsor».

Lei opera anche a Dubai: da dove nasce questo collegamento, e come

ha imparato l'arabo? Il Medio Oriente può essere un mercato

interessante per il futuro del motorsport?

«Il mio interesse per il mondo arabo nasce da una semplice esperienza di

vita che si è poi tramutata in un’opportunità lavorativa. Da piccolo ho

infatti vissuto nove anni in Tunisia. Nel 2016, vedendo crescere

l’interesse della propria clientela per il Medio Oriente e mettendo a

fattor comune l’esperienza di altri colleghi nell’area, LCA ha deciso di

aprire una sede operativa a Dubai che è il principale hub dell’area,

ponte tra oriente e occidente. Certamente il medio oriente rappresenta

oggi un mercato fondamentale per il mercato del motosport e

dell’auto in generale. Se si pensa al fatto che una gran parte

delle auto di lusso viene acquistata da clienti dell’area, che ben

due gran premi di F1 si corrono in loco (Bahrain, Abu Dhabi),

che la Ferrari ha costruito un parco tematico che ha ricevuto

il premio come "Middle East's Leading Tourist Attraction"

agli World Travel Awards 2015, che dal 2016 si corre un

campionato di Formula 4 negli Emirati Arabi Uniti; si

capisce subito quanto l’area possa risultare di interesse per il

settore del motorsport e dell’automobilismo più in

generale».

Stefano Semeraro