Dallara Magazine - page 21

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Ingegner Toso, quale è stata la dinamica
dell’incidente a Dario Franchitti? Come è
accaduto che la vettura sia decollata?
«Sato, per problemi di assetto legati a gomme
usurate, ha perso il controllo e ha rallentato
improvvisamente. Franchitti lo seguiva in
piena velocità e lo ha toccato. Il "wheel
guard" posteriore ha assorbito una parte
dell’energia deformandosi e rompendosi in
molti frammenti. Sato, per il contatto ha
ulteriormente scodato e rallentato,
allargando la traiettoria verso l'esterno della
curva, verso il muro; a questo punto
Franchitti non aveva più spazio e gli è finito
addosso. La differenza di velocità tra le due
macchine, stimata in circa 20-30 km/h è un
valore elevatissimo in considerazione della
velocità assoluta, intorno ai 180 km/h e della
massa della vettura. Ricordiamo che il "wheel
guard", in due anni dalla sua introduzione
ha svolto sempre la propria funzione in modo
eccezionale in caso di contatti lievi quando la
velocità relativa delle macchine è piccola, cioè
duranti i pericolosi sorpassi ruota-a-ruota. La
monoposto di Franchitti è poi schizzata
contro le reti di protezione: una vettura della
vecchia generazione, sia Champ Car sia
IndyCar, si sarebbe molto probabilmente
impennata e sarebbe decollata. Questa
invece, si è sì alzata da terra per l'impatto,
ma non è volata e, dopo il violentissimo
impatto contro le reti ad oltre 180 km/h ha
dissipato un’energia di circa 1 milione di
Joule, è tornata a terra senza capovolgersi.
Questo comportamento “stabile” è
conseguenza della forma del fondo il cui
studio è stato sviluppato in Dallara per
innescare un effetto aerodinamico
stabilizzante in caso di intraversamento, e per
generare comunque la maggior parte
dell’effetto suolo nella zona posteriore, in
modo che anche se l'anteriore si alleggerisce
la vettura non perda del tutto il carico».
Avete già avuto modo di capire se c’è stata
qualche comportamento anomalo della
vettura o se si è trattato di una fatalità?
«Le indagini sono state immediate, come è
tipico della legislazione americana: tutti i
dati sul tavolo, massima collaborazione e
ricerca comune della verità. In pochi giorni
abbiamo ricevuto i complimenti commossi
dalla IndyCar. Nessun’altra macchina da
competizione a ruote scoperte avrebbe potuto
fare meglio. Penso che la Dallara IndyCar sia
il riferimento di sicurezza per tutte le
categorie a ruote scoperte, sia in Europa sia
negli Stati Uniti».
Quali informazioni utili avete tratto
dall’incidente? Potrà essere l’occasione per
modificare qualche particolare?
«La nostra scelta di imporre una costruzione
del telaio con centine in alluminio e con i
pannelli anti-intrusione che coprono
lateralmente dalla centina pedali a tutto il
vano serbatoio sono fondamentali per
proteggere il pilota e il carburante. Indietro
non si torna».
A colpire l’opinione pubblica sono state
soprattutto le conseguenze sugli spettatori:
le condizioni di sicurezza dei circuiti
americani possono essere migliorate? Si è
parlato ad esempio di reti di contenimento
non adeguate.
«Su questo non ho una risposta. Se al posto di
quelle reti ci fosse stato un muro di cemento
o una rete pretensionata con cavi d’acciaio,
quindi molto più rigida, la macchina sarebbe
rimbalzata in pista, avrebbe mantenuto la
velocità e l’impatto con altre macchine o
ponti o altre strutture forse sarebbe stato
fatale. Le reti devono deformarsi per assorbire
l’energia cinetica della macchina e in effetti i
pali delle reti di protezione si sono deformati
in modo impressionante ma non si sono
spezzati. Quella curva in particolare era
percorsa con l’acceleratore al massimo.
Probabilmente in futuro la tribuna verrà
spostata all’interno della curva. Resta
comunque un bilancio sottile tra l’esigenza di
soddisfare il pubblico che, consapevole del
rischio, ricerca emozioni ravvicinate e intense,
e tutelare il pubblico stesso dai rischi seri e
reali che derivano dalla pretesa di vivere
queste emozioni pagando il prezzo del
biglietto».
In quali settori più in generale c’è ancora
margine di intervento, e quali invece sono
fatalmente destinati a creare più problemi
in caso di incidente?
«Un’area su cui stiamo lavorando con
IndyCar è la riduzione del rischio di frattura
dei polsi dei piloti in caso di incidente: al
momento, con il comando al volante di freno
e frizione, il pilota cerca istintivamente di
non togliere le mani dal volante; ma in caso
di incidente e di urto contro le barriere di
protezione, il volante “impazzisce” e i piloti
fisicamente non possono trattenerlo. Forse,
già per il 2014, adotteremo un
ammortizzatore sullo sterzo».
Che indicazioni vi ha dato Franchitti su
quanto è successo?
«Dario ci ha ringraziato in modo sentito e
sincero; nessuna parola di circostanza.
Conosco Dario Franchitti da oltre dieci anni e
siamo entrambi membri della commissione di
indirizzo tecnico del Campionato IndyCar.
Dario con il passare degli anni è diventato
sempre più timido e apparentemente
scontroso con i media e i giornalisti in genere.
Sottolineo il termine “apparentemente”.
Dario è nel suo intimo un gentiluomo e in
genere un gentiluomo non parla mai troppo.
Dario ha affrontato nella sua vita una
imprevedibile popolarità sia legata a sua
moglie Ashley Judd, attrice molto famosa, sia
a ripetuti successi in questa parte finale della
carriera professionale. La celebrità l'ha
corazzato contro le vicende del mondo e
ormai dà un peso relativo ai successi
personali che si rivelano a posteriore per lo
più frutto delle circostanze. Dario ha sempre
negli occhi le immagini di incidenti
terrificanti di cui è stato protagonista:
Kentucky e Michigan nel 2007 con la IndyCar,
Talladega nel 2008 con la Nascar, ora a
Houston nel 2013. Le dichiarazioni pubbliche
di circostanza sull’importanza della
sicurezza, sulla fragilità della vita,
sull’eroismo lo hanno stancato; preferisce una
breve telefonata personale all’Ingegner
Dallara per dire grazie. Immagino che forse,
grazie alla prudenza e alla serenità che gli
deriva dall’aver ricevuto dalla vita molto,
deciderà di ritirarsi».
Stefano Semeraro
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