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sempre meno sponsor e soldi. Il

motorsport non ha perso interesse a livello

generale, ma ora nella ricerca di

investitori è in competizione con altre

discipline»

.

La chiave del successo della 'nuova' Indy

Lights sta anche nel progetto di una

filiera che sappia prendere per mano i

piloti americani e svezzarli in vista

dell'impegno nella più prestigiosa delle

serie a ruote scoperte.

«Tutto ciò che era stato disegnato per la

IndyCar e ha funzionato a livello di

sicurezza è stato implementato

- dove lo

consente il regolamento –

sulla Indy

Lights, che di fatto sotto il profilo della

sicurezza è una vera e propria mini

IndyCar. Il progetto è gestito da Dan

Anderson, costruttore e grande

appassionato di corse, che ha ideato

quello che qui chiamano “ladder to Indy

Car”, un programma educativo per piloti,

ingegneri meccanici che conduce dalle

formule minori fino alla Indy Car. Lui e

Tony Cotman, direttore tecnico e direttore

di gara per la Indy Lights, nella

realizzazione della monoposto hanno

lavorato a stretto contatto con Antonio

Montanari e il suo team. Un progetto

sicuramente interessante, e meno

complicato a livello 'politico' perché non ci

sono costruttori coinvolti. Attraverso

alcuni rendering abbiamo sottoposto ad

Anderson diverse soluzioni, e lui ha scelto

quella che ha definito una 'sexy car'. Ne

abbiamo già consegnati diversi esemplari,

la settimana scorsa ne sono partiti 3-4 per

completare primo 'bench' di 10 macchine

che dovranno svolgere i test il 16-17

dicembre a Palm Beach»

.

Il via è in programma il 28 marzo a St.

Petersburgh, in Florida, e la notizia che

anche un team prestigioso come l'inglese

Carlin Motorsport sarà della partita

rappresenta una certezza in più.

«Prevedo un bello schieramento per la

prima gara di St Petersburg

», conferma De

Ponti «

E la presenza di Carlin Motorsport

è una buona cosa: significa che ha trovato

nell’Indy Lights un buon pacchetto per la

sua attività sportiva negli Stati Uniti, e

secondo me ha aperto una porta. Il modo

di concepire le corse in America è diverso

rispetto all'Europa. L’americano

tendenzialmente è conservativo, se trova

un prodotto che va bene lo porta avanti

per anni e anni. C’è meno sviluppo e

innovazione tecnologica rispetto

all’Europa, ma è un modello di business

che funziona

».

Anche dal punto di vista dei piloti la

Indy Lights rappresenta una opportunità

interessante, che si discosta dal progetto

originale della serie. «

Lo spirito Indy

Lights, quando nacque nel 2002

-

la

macchina precedente è stata consegnata

dal 2002 fino all’ultima stagione di

quest’anno - era di 'carpire' piloti delle

categorie Sprintcar per portarli verso le

monoposto e la Nascar. Per una serie di

motivi questa impostazione non ha avuto

successo. Grazie a un promoter esterno

come Dan Anderson, ora la categoria si

sta reindirizzando. E’ un buono strumento

per imparare la tecnica delle gare sugli

ovali – non dimentichiamo che la gara

principale IndyCar è la 500 di Indianapolis

– e per familiarizzarsi con le piste

americane in generale, che sono molto

diverse da quelle europee per layout,

asperità, tipo di asfalto. Diciamo che con

l'ingresso di Carlin viene riscoperto la

strada americane alle corse. L'approccio

classico era: in America si corre sugli

ovali, ci sono i muretti, ci si fa male. Non

dimentichiamo però che la Indy Lights è

la seconda categoria più veloce al mondo,

con medie da 185-189 miglia orarie per

gare di un'ora. Un buon pilota di Indy

deve saper guidare a velocità sostenute

con 15-16 macchine macchine che ti

passano a destra e sinistra. Bisogna

sapersi anche affidare devi agli 'spotter', il

membro del team che sta sulle tribune e

che ti indica chi hai a fianco, chi ti sta

sorpassando e ti suggerisce la strategia di

gara. Questa è una componente che in

Europa non esiste, ma arricchisce ancora

di più il bagaglio di un pilota

». Anche lo

sviluppo della Indy Lights ha potuto

beneficiare del Simulatore Dallara che è

stato inaugurato quest'anno anche nella

sua versione americana.

«Il Simulatore va

molto bene

», conferma De Ponti, «

In

effetti lo stiamo usando molto. In questi

giorni è in programma una giornata 'porte

aperte' con un modello di vettura a

disposizione di piloti e ingegneri Indy

Light e Formula Mazda; inoltre il nipote

Louis Schwitzer verrà qui per inaugurare

targa dedicata a suo nonno

». Insomma,

Dallara negli Stati Uniti è sempre più

impegnata in progetti racing ed extra

racing e per gli uomini di De Ponti il

lavoro davvero non manca.

Stefano De Ponti,

capo delle operazioni

Dallara Usa,

in compagnia

di Al Unser

e dell’ing. Andrea Toso

davanti al Simulatore

inaugurato nella sede

di Indianapolis