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10 Ott [18:50]

CONTROCANTO
Rallylegend, un fenomeno da studiare

Guido Rancati

Ebbe a dire Indro Montanelli: “Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai niente del proprio presente”. Duemila e quattrocento anni prima, Confucio s'era spinto un po' più in là: “Studia il passato se vuoi prevedere il futuro”, aveva ammonito il filosofo cinese. Ed è difficile non essere d'accordo con l'uno e con l'altro: quello che è stato dovrebbe restare bene impresso nella memoria collettiva. Invece nel Bel Paese la tendenza è dimenticare tutto in fretta, troppo in fretta. Forse in nome del sempre troppo attuale “Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato. E scurdammoce 'o passato”. Che (purtroppo) non è solo il ritornello di una canzonetta e non è neppure limitato a Napoli e ai napoletani. Che potrebbe essere parte integrante del testo dell'inno nazionale, tanto è diffusa la voglia di non voltarsi indietro. Con una eccezione: il popolo dei rally. Forse perché appassionati e addetti ai lavori sanno molto bene che il presente tricolore è triste da piangere e hanno il ragionevole dubbio che il futuro sarà persino peggiore, si immergono sempre più nel passato. Quello prossimo e quello remoto.

Vito Piarulli ha il merito di averlo capito prima di altri e oggi, giustamente, raccoglie i frutti della sua intuizione: per molti, Rallylegend è un punto fermo nella programmazione delle trasferte. E' un appuntamento al quale non si può rinunciare a cuor leggero. Pur se non è un vero rally, pur se è ragionevole pensare che i tanti assi che anno dopo anno accettano di essere protagonisti sull'asfalto dell'Antica Terrà della Libertà l'affrontino con la grinta dei loro anni ruggenti. Basta la loro presenza – e la loro personalità – a scatenare i ricordi di chi li vide in azione nel tempo che fu. E ad alimentare la curiosità di chi non è sufficientemente in là con gli anni per aver potuto ammirarli quando erano professionisti del volante.

Quello sammarinese è ciò che le garette della serie tricolore hanno da tempo smesso di essere: un evento (quasi) unico nel suo genere. Diverso dalla kermesse monzese dove ad attirare la massa degli spettatori sono le veline e, ben che vada, Valentino Rossi. Il Legend è un fenomeno che gli inquilini del palazzo avrebbero dovuto studiare già da tempo. Non l'hanno fatto, da tre anni a questa parte non sono neppure riusciti a evitare che gli assi di ieri corrano sotto il Titano nello stesso fine settimana in cui, prima a Sanremo e ora a Verona, i rallisti di oggi si giocano il titolo verde-bianco-rosso. Alla possibilità di offrire un palcoscenico sfavillante ai frequentatori di quello che era un vero trampolino di lancio, s'ha da credere che non ci hanno neppure pensato. Se mai l'hanno fatto, non sono andati oltre. Perché il progetto, per loro signori, è troppo complicato da portare avanti. Anche se non dovrebbe essere impossibile convincere il patron del revival sammarinese a collaborare. Per il bene della specialità e anche nel suo specifico interesse. Per garantire un futuro alla sua manifestazione quando Stig Blomqvist, Markku Alen, Didier Auriol e compagnia elencando saranno troppo vecchi per dar spettacolo. E non basteranno i soliti gentleman driver ad attirare folle oceaniche.