Dallara Magazine - page 5

all'ingegner Toso e a tutti i ragazzi. Ho
fatto parecchie sessioni sul simulatore. Al
momento il modello disponibile è da
aggiornare, ma io al simulatore credo
tantissimo. Mi piacerebbe il prossimo anno
completare lo sviluppo della Dallara
Corvette al simulatore, e poi cominciare a
fare un lavoro di sviluppo della macchina
sempre utilizzando questo straordinario
strumento».
Ti capita di allenarti virtualmente con
altri simulatori negli Usa?
«No, perché io credo molto al simulatore
di Dallara e non voglio "sporcarmi le
mani" con altri che trovo in America.
Preferisco sposare un’idea e portarla a
termine. Dato che è un’idea… costosa,
Dallara mi ha dato la possibilità di
cominciare lo sviluppo di un modello, ora
spero che mi dia la possibilità di portarlo
a termine e cominciare a lavorare anche
sul telaio e sul setup della macchina
usando il simulatore. Questo è il mio
sogno per il 2014».
Come vedi la nascita del nuovo
campionato?
«E’ una gestazione infinita. Sono
amareggiato dal fatto che siamo a
dicembre e stiamo ancora parlando delle
stesse cose discusse ad aprile: forse gli
americani si sono italianizzati. Credo che
sia in corso una lotta interna tra il nuovo
e il vecchio, tra uno zoccolo duro di
persone, la vecchia guardia, che combatte
il nuovo, rappresentato dagli ex-dipendenti
America Le Mans che adesso sono in
Grand-Am. Mi chiedo perché sia necessario
fare dei cambiamenti, di cui nessuno fra
l'altro può accorgersi dall'esterno, per
accogliere due vetture LMP2. Tutto per
accontentare due proprietari che non
vogliono comprare il Daytona Prototype.
Anche se alla fine dovranno comprarli,
perché quello è il futuro del nuovo
campionato».
Qual è invece il futuro di Max Angelelli?
Più da dirigente del team o più da pilota?
«Da pilota correrò quattro gare, e quattro
belle gare. Ho deciso così perché nella mia
responsabilità del team che mando avanti
quotidianamente mi trovo, durante i
weekend di gara, a guidare la macchina,
parlare con i partner tecnici, prendere
decisioni tecniche, discutere con quelli
della Grand-Am per il regolamento, stare
vicino agli sponsor. Alla fine ero arrivato
ad una situazione impossibile. Andavo alle
riunioni con la tuta che… puzzava,
interrompevo quelle con il mio ingegnere
di pista perché non avevo tempo; dovevo
persino rinunciare alle cene con gli
sponsor. E ho scontentato tutti, compreso
me, perché non mi dedicavo al 100 per
cento a quello che è il mio compito:
guidare la macchina. In più c’erano anche
i piloti General Motors. Alla fine siamo
arrivati a questa conclusione. Quello che
mi consola è che ho vinto il campionato».
Quali consigli puoi dare, dall'alto della
tua esperienza, ai giovani piloti italiani?
«Due cose. Innanzitutto non aver paura di
accettare offerte che in un primo momento
possono anche sembrare deludenti o di
ripiego. In secondo luogo identificare una
persona che li possa guidare, uno di cui
fidarsi, che abbia le capacità di prendersi
cura di loro. I talenti in Italia ci sono. Ho
il timore che, mal consigliati, possano
rifiutare proposte nella speranza di
ottenere altro e poi vengano dimenticati.
Prendiamo l’esempio di Grosjean: dalla
Formula 1 è passato al Fia Gt e l’ha fatto
da campione, nonostante un team e una
macchina scadenti, per poi tornare in
Formula 1. L’importante è rimanere nel
giro, possibilmente vincere e fare in modo
che la gente ti veda, si ricordi di te».
Stefano Semeraro
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Max Angelelli
con Wayne
e Jordan Taylor
a Lime Rock
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