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Terra cercano una “pianura” per far

scendere la sonda: il sito di “ac-cometaggio”

è scelto e il 12 novembre avviene il contatto

con la superficie. La sonda è sganciata dal

modulo – madre e arriviamo sulla superficie

della cometa: non c’è gravità e rischiamo di

rimbalzare via per sempre, abbiamo degli

arpioni meccanici precaricati che devono

perforare la superficie (senza sapere la

durezza e la consistenza che avrà. Sarà

ghiaccio o sarà basalto?). Ancorati alla

superficie, è iniziata la fase della missione

che riguarda Dallara: tra i numerosi

esperimenti ottici, elettrici e magnetici c’è

quello che riguarda il trapano che abbiamo

progettato e costruito in Dallara. La punta

cava del trapano penetra nel suolo e la sua

filettatura interna estrae schegge e piccoli

campioni di suolo cometario e li porta

tramite condotti in alcuni “fornetti”

collegati ad una “giostra” per svolgere più

esperimenti, infine inviamo i dati a terra.

La sonda è piccola ed abbiamo

un’autonomia di circa 60 ore per svolgere

tutti gli esperimenti che consumano le

nostre poche energie, poi le batterie si

esauriranno per sempre: come la fioritura

dell’agave che esplode nella sua massima

bellezza e funzionalità prima della morte».

Affascinante, davvero. Che velocità

raggiunge una sonda di questo tipo? Che

tipo di motore la spinge?

«Nello spazio devi usare quello che hai e

portarti dietro tutto quello che ti servirà per

tutta la durata della missione perché non

c’è nessun angelo custode che ti venga ad

aiutare: “Out there, it is better to have in

your back pack whatever you need to

survive and work” (John Aldrin).

L’alternativa è ricostruire sul posto quello

che ti serve con il materiale che hai, inclusi

gli scarti (ti ricordi il film Apollo 13?) È un

po’ come una ciurma di marinai in mezzo

all’oceano, troppo lontani dal porto, che

deve riparare la nave: non può ricostruire

tutto altrimenti la nave affonda ma deve

sempre riparare qualcosa perché tutto si

degrada , così la nostra vita e la nostra

identità. Se non hai nulla con cui riparare

la nave estrai dal vuoto intorno a te

qualcosa (e lì viene in aiuto come dal nulla

il sole e la sua luce che è energia e vita)».

Quali sono i materiali e le tecnologie

più interessanti che utilizza?

«Tra i materiali più interessanti ne ricordo

due: il Vespel, autolubrificante: la punta del

trapano quando penetra nella superficie

della cometa produce attrito e non puoi

permetterti il lusso di portare nello zaino il

grasso perché dopo dieci anni nel vuoto

assoluto di grasso non rimane traccia. Un

altro è l’ Invar, un materiale particolare che

ha un coefficiente di dilatazione termica

nullo. Ritorniamo con il pensiero a Rosetta,

per anni siamo esposti per una metà al sole

e per l’altra metà allo spazio nero e

profondo, senza l’Invar i nostri due lati si

dilaterebbero in modo diverso e quindi si

deformano; queste dilatazioni possono

innescare vibrazione termo-strutturali e

compromettere la precisione delle antenne

di comunicazione con la base di controllo,

ridurre l’efficienza dei nostri pannelli solari

con cui raccogliere le gocce di luce fino a

provocare vibrazioni catastrofiche e il

collasso (questo era proprio l’argomento

della mia tesi di Laurea in Ingegneria

Aerospaziale!)».

Che ricadute – scientifiche, tecnologiche,

ma anche filosofiche - può avere

secondo te oggi sulla nostra vita

quotidiana l'esplorazione dello spazio?

«Vedi, ci sono essenzialmente due principi

che ci spingono alla conoscenza, il primo

ricerca la conoscenza e la verità in sé, come

valore non negoziabile, per soddisfare una

curiosità pura e potente; l’altro principio

ricerca la conoscenza come valore

strumentale, per usare la conoscenza al fine

di migliorare la condizione della vita

umana. Entrambi i principi sono validi,

ciascuno di noi è orientano più verso l’uno o

verso l’altro. Cosa spinse Ulisse ad

abbandonare figlio, padre, moglie:

l’ardore/ ch’i’ ebbi a divenir del mondo

esperto/e de li vizi umani e del valore;/ma

misi me per l’alto mare aperto

sol con un legno e con quella compagna

picciola da la qual non fui diserto/(...) e

volta nostra poppa nel mattino,

de’ remi facemmo ali al folle volo/ infin che

’l mar fu sovra noi richiuso

Spazio