18 Set [16:22]
Denis Giraudet
Settembre, andiamo. È tempo di migrare. L’uomo è colto, conosce Gabriele D’Annunzio e un po’ si riconosce nei pastori cantati dal vate: in fondo, anche il suo è un continuo migrare da un postro all’altro. Ma la sua transumanza ha ritmi più frenetici e dura quasi tutto l’anno. Giusto per dire, fra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno ha in agenda tre appuntamenti in luoghi diversi e con piloti diversi. Con Paul Gardere all’Elba per disputare il Graffiti con una Porsche 911, con François Duval per provare a vincere il Sanremo con una Punto e con Evynd Briynildsen per aggredire l’asfalto del Rally di Catalogna.
Ha sempre la valigia pronta, Denis Giruadet. Ha sempre la stessa passione per le corse che da ragazzo lo portava a campeggiare nel parco di Monza per inebriarsi con il suono dei dodici cilindri del Cavallino, per riempirsi gli occhi con le gesta dei cavalieri del rischio di un’epoca nella quale a nessuno veniva in mente di consigliare a un pilota di andare a sbattere. Li guardava e, aggrappato alla rete, sognava di diventare come loro. Poi rimetteva la tenda nello zaino e tornava a casa. A volte, allungando un po’ la strada per visitare un monumento, un museo. Perché va bene le corse, ma nella vita ci sono anche altre cose alle quali prestare attenzione. Studiava, leggeva, girava. Si divertiva come tutti.
Come tutti quelli della sua generazione, contava i giorni che gli mancavano per avere fra le mani la patente e, ça va sens dire, la licenza. E quando il conteggio alla rovescia è finito, ha provato a maneggiare un volante con il casco in testa e i numeri sulla portiera. Non fu un successo, il suo rally finì ben prima del previsto. Rovinosamente. Quel mondo, comunque, lo attraeva. Da pilota si trasformò in copilota di un amico. Con un certo successo.
Da allora non ha più smesso di leggere note. Ha diviso gioie e dolori con un numero imprecisato e imprecisabile di rallisti. Ha diviso l’abitacolo con aspiranti campioni e campioni affermati, ma anche con ragazzotti volenterosi e niente più. Ha vinto tanto, il transalpino. Fra l’altro, un campionato d’Europa con César Baroni, una gara iridata, il Finlandia del ’93, con Juha Kankkunen, e altre quattro con Didier Auriol, un Rac con Armin Schwarz. Ha collezionato cento e cinquantatre gettoni di presenza nel mondiale. Nel tempo, ha dettato il ritmo, fra i tanti, a Philippe Bugalski e a Thomas Radstrom, a Stephane Sarrazin e a Spyros Pavlides, a Nicolas Vouilloz e a Nicolas Bernardi. Ma a due passi dal traguardo dei cinquant’anni, lo taglierà il prossimo maggio, seguita a ripondere all’appello di chi, giovane o meno giovane, gli chiede di accompagnarlo in gare di secondo, terzo e anche quarto piano. Senza star lì a farsi tante domande, senza chiedere quante stelle avrà l’albergo. Tanto, il piacere, quello vero, è nel fare ciò che piace e farlo bene.
È uno spirito libero, il decano dei naviga in servizio permanente effettivo. Scrive, bene, su giornali e riviste le sue sensazioni e quello che la sua esperienza gli suggerisce. Anche quando sono considerazioni che non piacciono ai potenti veri e o presunti. Non scende a patti con la coscienza, non dimenrtica le priorità. Difatti, è successo in Giappone, l’anno passato, non ha esitato a lasciare solo Brindelsen per saltare sull’ambulanza che portava in ospedale Patrick Pivato. “È un amico e soprattutto è un uomo che sta male”, spiegò. Anche altri l’avrebbero fatto. Lui, l’uomo vero con la valigia sempre pronta, l’ha fatto.
Guido Rancati