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15 Apr [18:20]

Il punto di Guido Rancati
Un mondiale da formichine

“È scritto, è già tutto scritto!”. Non aveva dubbi, Didier Auriol. Senza sfera di cristallo, senza tarocchi e senza neppure qualche fondo di caffé da leggere, alla vigilia del New Zealand Rally si diceva certo di sapere come andrà a finire la doppia sfida iridata: “Petter Solberg sarà Campione del Mondo e il Mondiale Costruttori lo vincerà la Peugeot”. In vena di chiacchiere, il folletto delle Cevennes spiegava la sua previsione con un’accurata analisi. “Le 307– argomentava –sono ormai diventate molto affidabili e la squadra francese può contare su un purosangue come Marcus Gronholm in grado sempre e comunque di dare la zampata vincente, ma anche su un regolarista come Markko Martin, capace di raccogliere punti pesanti dappertutto. Ed è proprio il poter disporre di una coppia bene assortita che alla lunga farà la differenza a favore della Peugeot che, quest’anno, fra l’altro, si sta dimostrando meglio equipaggiata della Citroen: mi pare piuttosto chiaro che la Xsara sia ormai stata spremuta al massimo e non vedo come potrebbe compiere un ulteriore salto di qualità”. Neppure a Sébastien Loeb, concedeva molte chanches: “Penso che la sfortuna che ha avuto in Svezia e in Messico sia un chiaro segno del destino: la carriera di un pilota è fatta da annate positive e annate negative e questa, per Seb, ha tutta l’aria di appartenere alla seconda categoria. È bravo, certo, ma non vedo come potrà opporsi a Petter Solberg che dispone un’Impreza molto evoluta e può contare sull’appoggio totale della Subaru”.
La gara agli antipodi ha smantellato le tesi di Auriol. Loeb ha dominato e si è rilanciato alla grande nella corsa all’iride. Come la Citroen che ha rastrellato tre punti più della Peugeot, scavalcando in un colpo solo Subaru, Mitsubishi e Ford. Una rondine non farà primavera, ma è piuttosto evidente che adesso le possibilità dell’Armata Rossa di Guy Frequelin di conservare la corona sono cresciute assai. Quelle del suo pilota di punta, di più. Sugli sterrati da sogno intorno ad Auckland, l’alsaziano ha picchiato davvero duro. Non s’è fatto impressionare dagli attacchi iniziali di Solberg e di Gronholm e appena ha intuito che i due nordici erano in crisi di gomme (troppo tenere, quelle a disposizione per un fondo decisamente più duro e più secco del solito) ha messo la freccia e se n’è andato. Così non fan tutti, ma i grandi veri sì.
“Ci siamo tirati un po’ su...”, osserva con l’abituale pacatezza le Freq. Aggiunge: “Il lavoro paga sempre e a Satory non abbiamo mai smesso di lavorare per tornare ad essere protagonisti come avevamo saputo esserlo nel recente passato. A questo punto, non abbiamo scelta: dobbiamo andare avanti sulla stessa strada, cercando di mettere entrambi i nostri piloti in condizione di essere all’arrivo anche nei prossimi impegni”. Non fa tebelle, l’ex-pilota che nell’81, insieme a Jean Todt, contese fino all’ultimo il titolo ad Ari Vatanen e a David Richards. Ma indica la strada alle sue truppe, le guida all’attacco. “Con giudizio, però”, chiarisce. Perché non c’è bisogno di astrusi calcoli per sapere che il mondiale, quello riservato ai costruttori soprattutto, si vince giocando a fare la formichina. O quasi.
A forza di sentirselo ripetere, se n’è convinto pure Gronholm. Dopo la trasferta in Svezia era in coda al gruppo, a dieci punti dal taxista Toni Gardemeister, ora è quarto a sei lunghezze appena da Solberg e a cinque da Loeb. È in ballo e vuol ballare.