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29 Ott [19:35]

L’INTERVISTA
Nicolas Vouilloz,
l’asso del pedale

“Ero un bambino irrequieto, attratto dalle discese...”. Dice così, Nicolas Vouilloz. Ripensando a tanti anni fa, quando ancora aveva i pantaloni corti e scorrazzava in bicicletta per le stradine di Peille. “Poi - aggiunge - anch’io inevitabilmente sono stato attratto dai motori” . E dalle corse in motorino con i suoi coetanei. Non se la cavava male, pare. Ma a quindici anni ha venduto la moto per ricomprarsi una bici. Da discesa.

Tutto è cominciato per via di un amico che già si dedicava al down hill: “Mi convinse a provare e lo feci: lui si piazzò terzo ed io... primo” . Il resto è venuto (quasi) da sé. Di vittoria in vittoria, s’è costruito un albo d’oro stratosferico: dieci titoli mondiali, sette francesi, cinque europei e cinque Coppe del Mondo. È diventato un mito per tutti quelli che si avventano giù per viottoli che neanche alle capre viene voglia di percorrere. E per quelli, sempre più numerosi, che seguono la specialità altamente adrenalinica.

- E i rally?
“Quelli già li conoscevo. Il mio paese è sull Alpi Marittime, da Peille passa la speciale del Col de la Madone che era una classica del Montecarlo. E poi sia mio padre, sia mio zio, erano stati rallisti. Così ho deciso di provarci”.
- Con successo.
“In effetti ho subito vinto il Volant Peugeot 206, guadagnandomi una convocazione a Parigi da parte di Corrado Provera e Jean-Pierre Nicolas: avevano bisogno di un pilota francese nel mondiale e mi offrirono due stagioni part-time con una 206 World Rally Car”.
- Cosa non funzionò?
“Beh, il primo anno commissi qualche errore di troppo. Ma era previsto e contavo di sfruttare l’esperienza nella stagione seguente. Invece...”.
- Invece?
“La Peugeot Sport mise fine all’impegno nella serie iridata e nel 2005 mi ritrovai a piedi. Per fortuna, gli uomini del Leone non mi dimenticarono e nel 2006 mi aiutarono a imbastire un programma con una 307 della Bsa nel Campionato di Francia”.
- Dalla serie transalpina all’Intercontinental Rally Challenge. Stimolante?
“Certo. Il campionato supportato da Eurosport è imperniato su gare importanti e difficili e esserne protagonista mi ha dato altri stimoli”.
- Ma non il titolo...
“Già, l’anno passato, a dispetto delle tre vittorie, finii secondo dietro a Enrique Garcia Ojeda, il mio compagno di squadra. A ripensarci mi viene ancora il mal di stomaco, ma adesso mi sono rifatto”.
- Meglio vincere delle gare o conquistare il titolo?
“L’ideale è vincere il titolo vincendo molte gare. Ma un campionato è sempre un campionato e va bene anche vincerlo come ho fatto, con un solo primo posto”.
- Tanti secondi posti, quale il più amaro?
“Tutti sono amari. Io corro per vincere e quando qualcuno mi sta davanti proprio non riesco a essere contento”.
- Quello al Valais, però...
“Beh, l’ultimo è stato diverso. Con Freddy Loix ce la stavamo giocando e l’avremmo fatto fino alla fine, se Marc Van Dalen, il boss della Kronos, non avesse deciso che doveva vincere lui. In fondo ha fatto bene: solo così la squadra ha avuto la certezza di piazzare i propri piloti ai primi due posti della serie”.
- Una serie che cresce...
“Parecchio. Rispetto all’anno passato, il livello è ancora cresciuto e basta un niente per scivolare irrimediabilmente indietro in classifica. È davvero un bel campionato”.
- E adesso?
“Spero, conto, di disputarlo ancora. In calendario ci sarà anche il Montecarlo e a Peille si stanno già preparando per vedermi in azione”.

di Guido Rancati