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25 Ott [12:33]

L'INTERVISTA
Il "comandante" D'Amore
dalle note alla cloche

Ladies and gentlemen... Macché, nessuno porge il rituale benvenuto a bordo. Dovrebbe farlo l’hostess, ma non c’è. E il comandante è impegnato a controllare che tutto sia a posto. Del passeggero, se n’è occupato giusto al momento dell’imbarco, per consigliare di infilare prima le gambe e poi il corpo. Per dirgli di fare attenzione a non battere la testa. Poi ha dato contatto e in attesa che salga la temperatura dell’olio ha ripassato le operazioni da effettuare prima del decollo. È un volo particolare, quello che sta per iniziare. Nessun problema di parcheggio, niente check-in e niente carta di imbarco. Nessuna formalità da espletare: caso mai si può dare una mano a tirare fuori l’aeromobile dall’hangar. Dopo aver ripiegato le coperte che, a terra, riparano le ali e il cockpit.
“C’è vento, oggi si ballerà un po”, annuncia Guido D’Amore (nella foto) un attimo prima di dare gas. Eh già, il pilota è più noto come copilota. In anni passati a leggere note sulle strade dei rallies, il “naviga” imperiese s’è costruito una solida reputazione. S’è fatto un nome. Il soprannome l’aveva ancor prima di trasformare la sua passione in una professione: “A forza di raccontare la storiella del cane Gillo – racconta in quota – gli amici hanno iniziato a chiamarmi come il protagonista della barzelletta che fra l’altro non era un granché...”. Dice di averla dimenticata, ma il nomignolo gli è rimasto appiccicato addosso. Prima o poi lo dipingerà sulla carlinga del Tecnam P92, la prima “macchina” della “Gillo Airways”-
Il rullaggio s’è consumato in un attimo: poche decine di metri e le ruote dell’ultraleggero si sono staccate da quella che è a tutti gli effetti una pista. Ma che assomiglia in tutto e per tutto ai prati che la circondano. A raggiungere la quota e la velocità di crociera, non c’è voluto molto di più. Si vola a vista, senza una meta. Sotto, la campagna piemontese e davanti, lontane ma non troppo, le Alpi. Il comandante D’Amore tiene d’occhio la strumentazione di bordo e scruta l’orizzonte. Con i piedi aziona il timone e armeggia con la cloche. Dolcemente: mica è come nei film. Di tanto in tanto, dispensa informazioni sul volo.
“Questa – sospira –è una zona felice per gli appassionati di volo. Le piste abbondano e quando ci si vuole posare, c’è solo l’imbarazzo della scelta: basta dare un’occhiata e si scorgono i “cinesini” che le delimitano”. I “cinesini” sono in realtà dei blocchetti di cemento dipinti di bianco: gli chiamano così, s’ha da immaginare, per le dimensioni. Si chiacchiera di questo e di quello: parole in libertà come il planare fra Langhe e Roero. “Mi pare – butta lì il comandante –che l’Intercontinental Rally Challenge stia venendo su bene: le gare sono decisamente belle e il risultato non è mai scontato. Fin qui, i promotori hanno lavorato bene: se non si fanno prendere la mano, la serie diventerà una bella alternativa al mondiale...”. Sa di cosa parla: in un passato ancora recente è stato protagonista nelle gare iridate a fianco di Gigi Galli e nella prima parte di questa stagione ha diviso con Andrea Navarra l’abitacolo della Grande Punto. È mancato il lieto fine, ma sono state due belle esperienze. “Mi spiace non aver avuto l’occasione di correre in Russia, spero di rifarmi andando in Cina”, taglia corto D’Amore. Poi riprende a parlare della sua passione per il volo. “Non è vero che quassù ci si sente davvero liberi?”, chiede mentre disegna traiettorie morbide nel cielo.
Una virata, poi un’altra e un’altra ancora. Si punta su Mondovì, poi su Asti. Quando all’orizzonte ricompare Torino, pensa a Chivasso. Da quando ha smesso di fare coppia con il cesenate, passa parecchio tempo nella sede dell’Abarth. “Vado a dare una mano, è un lavoro interessante”. Un giorno, chissà, potrebbe svolgerlo a tempo pieno. Come Claudio Berro e Nik Gullino, come Jean Todt e Daniele Audetto. Per ora non ci pensa. Fra un rally e l’altro con Umberto Scandola, si rende utile alla squadra. In ufficio e in macchina. Con il ragazzo veneto, ma non solo. Qualche giorno prima del Barum è stato accanto ad Anton Alen. Del figlio d’arte finlandese ha apprezzato l’istintiva capacità di andare subito forte su ogni terreno: “Alla seconda tornata su un tracciato céco – racconta – mi aspettavo di correggere le note che avevamo appena preso in un misto di inglese e finlandese. L’abbiamo fatto, ma a un ritmo decisamente elevato...”. Del figlio del mitico Markku gli è piaciuta anche la grinta, la voglia di fare: “Quella che ho visto anche in Renato Travaglia che un ragazzino non è più, ma ha l’entusiasmo di un ventenne”.
Vista dall’alto, il Castello di Racconigi toglie il fiato. Il tempo di sorvolare il parco e si atterra. “Adesso comincia la parte meno piacevole”, annuncia il pilota. Che spiega: “Bisogna dare una lavata all’aereo, prima che i moscerini si incollino all’elica e alla carlinga”. Non ha hostess, la “Gillo Airways”. E neppure che si occupa della manutenzione spiccia...

di Guido Rancati