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19 Ago [12:01]

Susie Wolff: 'La F.1 è travolgente'

Tempi strani, per Susie Wolff Stoddart. La pilota britannica non disputa una gara vera dal 2012, ma nonostante questo non è mai stata sotto i riflettori come nelle ultime settimane. Il merito è tutto di due sessioni di prove libere, una a Silverstone e l'altra a Hockenheim, che l'hanno vista calarsi nell'abitacolo della Williams FW36 al posto di Valtteri Bottas: appena tre ore in totale, ma che hanno fatto della Wolff la prima donna pilota a guidare una F.1 in una sessione ufficiale dopo 22 anni, un buco che durava dal tentativo di qualifica di Giovanna Amati nel GP del Brasile del 1992.

La presenza in pista della ragazza inglese, però, non è stata accolta da tutti con favore. A Susie viene infatti rimproverato (e non a torto) di avere un curriculum non all'altezza di un impegno nel Circus, soprattutto in un momento in cui non mancano giovani di talento che meriterebbero una chance. Effettivamente nell'unica esperienza competitiva in monoposto, la stagione 2005 della F.3 inglese, arrivò un mesto diciottesimo posto finale, e le cose non sono andate meglio nella successiva carriera in DTM, con la miseria di quattro punti raccolti nell'arco di ben sette stagioni.

Da allora nulla è cambiato, a parte il cognome: da Stoddart, quello che portava quando gareggiava, a Wolff a seguito del matrimonio con Toto Wolff, boss del team Mercedes F1 e azionista Williams. Senza tanti giri di parole, insomma, il paddock la considera poco più che una raccomandata, una tesi per cui all'accusa non mancano certo prove a supporto. Nonostante questo, però, la signora Wolff rispedisce le critiche al mittente, e invita a giudicarla in base a quello che è stata in grado di fare al volante della FW36.

Siamo abituati a parlare delle sensazioni legate alla guida di una F.1 con i tuoi colleghi uomini. Cambia qualcosa dalla prospettiva di una donna?
"Non penso ci sia una prospettiva maschile o femminile nella guida di una F.1, solo la prospettiva del pilota. Sono le vetture più avanzate al mondo e richiedono un adattamento mentale estremamente veloce perché tutto accade davvero rapidamente. La prestazione, poi, va quasi oltre l'umana comprensione. Una volta che riesci a gestire tutto l'insieme, diventa una sensazione totalizzante, quasi travolgente".

Non guidavi ad alti livelli da tempo, cosa hai fatto per adattarti rapidamente a un impegno così complesso?
"Non dovete dimenticare che ho iniziato a gareggiare quando avevo otto anni. La prima moto me l'hanno regalata quando ne avevo appena due, quindi ho iniziato a sviluppare il livello di coordinazione richiesto per le alte velocità molto presto. Alla fine ho iniziato insieme a molti ragazzi che sono in griglia adesso, e guardando indietro mi sento solo fortunata per essere riuscita a trasformare la mia passione in una carriera. Ho iniziato presto e non mi sono mai sentita diversa dagli altri perché ero una ragazza, anche grazie ai miei genitori che si sono sempre comportati come se avere una figlia che corre in macchina fosse perfettamente normale. Intorno ai tredici anni ho iniziato a pensare che avrei potuto fare delle gare la mia vita, e forse arrivare in F.1".

In kart hai affrontato Hamilton, Kubica, Rosberg, Raikkonen, per vederli arrivare rapidamente in F.1. Per te non è stato lo stesso, pensi dipenda solo dai risultati o anche da una certa resistenza verso le donne nel mondo delle corse?
"In qualche momento la domanda me la sono fatta. Moltissimi anni fa, arrivai in quindicesima piazza al mondiale di kart a Braga in Portogallo. Ero soddisfatta di me perché la concorrenza era di altissimo livello e la gara era stata molto dura, avevo fatto un buon lavoro. Partì la cerimonia del podio, e chiamarono il mio nome all'altoparlante. Non capivo, il quindicesimo posto era lontanissimo dai primi tre, ma il mio manager mi disse di sbrigarmi. Arrivata là, mi fecero salire per darmi il trofeo riservato alla miglior pilota donna! Ricordo che pensai che non ero lì per essere la migliore tra le ragazze, il mio obiettivo era essere il miglior pilota. Diciamo che però fu un'epifania, lì mi accorsi per la prima volta che c'era un atteggiamento sbagliato in partenza".

E in F.1 è lo stesso?
"Credo che il problema principale per le donne in F.1 sia che è un mondo che dà grande importanza alla performance, e sinceramente non credo che ad oggi ci siano state abbastanza donne che avessero mostrato il talento necessario per meritare un'occasione. Poi, ovviamente, ci sarà sempre nel paddock qualcuno contrario a priori, ma prima o poi accadrà e dovranno accettarlo anche loro".

Che sensazione ti ha dato avere finalmente questa chance nelle libere, specialmente mettendo dietro un buon numero di vetture ad Hockenheim?
"L'obiettivo non era tanto finire in buona posizione quanto restare il più vicina possibile al mio compagno di squadra".

Resta il fatto che poi, però, tutti guardano la classifica, sia a casa che nel paddock...
"Lo so, ma alla fine sapevo di avere quattro compiti principali da portare a termine: fare un buon lavoro, riportare la macchina al box tutta intera, essere efficiente nella raccolta dei dati e contenere al massimo il distacco da Felipe, che stimo moltissimo come pilota. Li ho centrati tutti e quattro, e sono stata davvero soddisfatta. Sono sempre stata la prima a dire che non avrei mai fatto una cosa del genere se non mi fossi ritenuta pronta, sono una persona molto realistica e se avessi pensato di non essere all'altezza non mi sarei certo fatta avanti. Mi sono preparata duramente per quelle due sessioni del venerdì, e ne è valsa la pena".

Pensi alla possibilità di un volante vero per il 2015?
"La Williams ha due ottimi piloti quindi non vedo grandi chance, ma non ho intenzione di cercare altrove. Sono fiera di essere con la Williams. Stiamo parlando del team che mi ha dato la possibilità di diventare loro tester due anni fa, quando uscii dal DTM e nessun altro era interessato, perché le mie performance fino a quel momento non erano state buone a sufficienza. Quindi starò qui e vedrò che chance si presentano, combattendo per sfruttare ognuna di esse".

Difficilmente la Williams mette in macchina piloti non all'altezza, ma le tue uscite a Silverstone e Hockenheim non sono state esenti da critiche. Come rispondi?
"Sono stati in molti a sostenere che la mia presenza sia stata solo questione di marketing, ma non è così. Frank Williams non affiderebbe mai una sua macchina a qualcuno che non ritiene all'altezza. Lo stesso Frank è venuto da me alla fine delle due sessioni per dirmi che era molto soddisfatto delle mie prestazioni. Il suo lavoro, come quello di sua figlia Claire, è mandare avanti il team e so che a questo fine le mie prestazioni contano molto più del mio sesso. Nel momento in cui non sarò più veloce abbastanza, sarò fuori".

Le donne negli ultimi anni hanno rotto molte barriere, raggiungendo la parità in molte aree lavorative che un tempo erano appannaggio degli uomini. Perché la F.1 è così indietro in tal senso?
"Credo che serva innescare un circolo virtuoso. Fino ad oggi in F.1 mancavano modelli femminili a cui ispirarsi, ed è difficile trovare donne pilota di talento se già in poche arrivano al karting. Credo però che il problema sia sulla strada giusta per risolversi. Io spero di poter essere un modello da seguire, e un altro è senza dubbio la stessa Claire Williams. Chi inizia però dovrà sempre ricordare che non basta essere ragazze, bisogna anche essere veloci".

Il momento più bello della tua carriera, il debutto in F.1, è arrivato a 31 anni. Non è strano pensare che la maggior parte dei piloti del Circus ha vissuto quell'esperienza quand'era ancora adolescente?
"Sinceramente non sarei mai stata pronta a una cosa del genere a 19 anni. Ho avuto sette fantastici anni con Mercedes nel DTM, stagioni che mi hanno trasformato rendendomi un pilota molto più capace e solido. Non ho avuto i risultati e i successi che avrei voluto e non sono riuscita ad entrare nel team ufficiale, quello dove ci si giocavano davvero vittorie e podi, ma è un'esperienza che mi ha temprato. E ho potuto comunque imparare da compagni di squadra fantastici come Mika Hakkinen, Jean Alesi e Ralf Schumacher. Senza questa esperienza, la mia prima volta su una F.1 nel 2012 non sarebbe andata come è andata, e oggi non sarei qui. Invece, quando Frank Williams venne a offrirmi quello che sarebbe dovuto restare un test sporadico, un unico assaggio della F.1, riuscii a convincerlo a sufficienza da meritarmi un'altra occasione allo Young Driver Test, e poi ancora a Barcellona quest'anno. Se in una qualunque di queste occasioni non avessi mostrato di avere il talento necessario, mi avrebbero subito messa da parte. Quindi per quanto io possa pensare che essere arrivata a quest'occasione così tardi sia un po' triste, in realtà non lo è perché anni fa non sarei stata pronta".

Di cosa sentiresti il bisogno per progredire ancora?
"Tutto si riduce a una cosa sola: fare chilometri. Il problema è che non è facile, perché abbiamo i test contingentati e i piloti titolari hanno a loro volta bisogno di guidare. Quindi come riuscirci? È senza dubbio l'ostacolo più grosso".

Oggi con il peso dei sistemi ibridi essere leggeri è un vantaggio, un punto a tuo favore...
"Vero. Parlando con i piloti che sono in F.1 da tempo, mi hanno detto che il periodo fisicamente più duro è stato intorno al 2006. Oggi dal punto di vista fisico le cose sono più semplici ed essere piccoli e leggeri sta diventando un valore. Anche questo è uno dei motivi che mi fa sperare di avere ancora più opportunità in futuro".