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5 Mag 2016 [12:40]

IL COMMENTO - Il metodo
Red Bull-Marko colpisce ancora

Massimo Costa - Photo 4

Daniil Kvyat è sicuramente un patrimonio che la F.1 non può permettersi di perdere, come del resto non andavano sacrificati dal giorno alla notte Sebastien Buemi e Jaime Alguersuari. Lo svizzero (riciclatosi con fortuna nel WEC con la Toyota) e lo spagnolo (talmente disgustato da aver perso la passione per il motorsport), ingiustamente non ebbero mai la chance di salire sulla Red Bull, dove scaldava il sedile la seconda guida Mark Webber. Una grande ingiustizia sportiva. E non va dimenticato Jean-Eric Vergne, ora inserito in Ferrari senza troppe chance future.

Poi, certo, i posti in Red Bull sono due e non si può fare un ricambio continuo, qualcuno purtroppo ci rimetterà sempre le penne. Ma è il modo in cui agisce il responsabile del programma Junior Red Bull, Helmut Marko, a irritare. Vorrei anche ricordare, per averla vissuta molto da vicino, quando la totale insensibilità di Marko si abbattè su Antonio Felix Da Costa, che era praticamente certo in Toro Rosso per la stagione 2014. Poi, incomprensibilmente dal punto di vista sportivo, venne scelto Kvyat che si era distinto in qualche gara GP3 e FIA F.3.

A casa Marko l'instabilità è d'obbligo ed ora è il russo a pagare dazio. Anche Carlos Sainz sarebbe rimasto fregato, per la scelta di Marko di buttarsi su Max Verstappen portandolo direttamente dal FIA F.3 alla Toro Rosso, un'operazione lampo. Lo spagnolo campione World Series Renault ha poi trovato spazio in F.1 grazie alla decisione di Vettel di lasciare la Red Bull per la Ferrari, quindi il conseguente passaggio di Kvyat dalla Toro Rosso al team maggiore aprì a Sainz le porte del team faentino. Carlito sarebbe stato l'ennesimo pilota meritevole giubilato da Marko.

Il passaggio immediato di Verstappen alla Red Bull denota un certo isterismo, tipico del mondo Red Bull. Perché non attendere il 2017? Perché non permettere al giovane olandese di crescere ancora meglio e senza la pressione di ritrovarsi in un top team? Perché rischiare di bruciarlo? Tutte domande ovvie e banali, che nel mondo perfetto di Marko avranno una sola risposta: se sei un campione devi dimostrarlo subito. E qui ci arrendiamo...

Infine, vorrei concludere sottolineando che alla luce dei fatti, forse Kvyat non era poi tutto questo fenomeno, o meglio, era necessario farlo crescere con più calma all'epoca e non buttarlo in F.1 nel 2014 in quella maniera. Troppo affanno, poi lo si paga nel tempo, e magari ora Da Costa sorriderà... In fondo, questa retrocessione di Kvyat è una lampante sconfitta dell'operato di Marko. Di sicuro chi non lo capirà sarà proprio il braccio destro di Dieter Mateschitz che proseguirà imperterrito nel fare e disfare (ricordate come ha trattato Luca Ghiotto pochi mesi fa?), nella sua opera di distruzione di molti giovani senza cercare di capirne la psicologia, l'attitudine, senza considerare che le persone hanno tempi di crescita differenti. E pensando semplicemente che un pilota sia una sorta di robot.
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