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25 Mar 2012 [16:53]

Sandokan Alonso, una vittoria che vale triplo

Stefano Semeraro

Chiamatelo Sandokan. All’arrembaggio sotto la pioggia, inattaccabile dalla tensione, capace di far volare come un brigantino la sua piroga rossa, Fernando Alonso in Malesia ha compiuto un’impresa degna di una cronaca salgariana. Nel weekend in cui nessuno avrebbe scommesso un copeco su una vittoria della Ferrari, lui – e va aggiunto: tutta la squadra, dai meccanici abilissimi nei pit-stop a un muretto finalmente efficace nelle strategie – come una tigre è riuscito a trascinare la F2012 sul gradino più alto del podio, strappando col coltello fra i denti la 28esima vittoria in carriera e portandosi in testa al Mondiale piloti.

Secondo l’hombre del dia Sergio Perez, con la Sauber dei miracoli, terzo Lewis Hamilton, rallentato da un paio di pit stop disatrosi nel giorno del naufragio McLaren. Si potrà obiettare che alla seconda gara del campionato non è un vantaggio decisivo, ma la risposta è altrettanto facile: in un momento in cui a Maranello si rischiava il tracollo, è una vittoria che non vale doppio, ma almeno triplo. Un successo che regala morale, entusiasma, siringa ottimismo. L’ingegner Stella alla fine piangeva dalla gioa e dalla tensione, Stefano Domenicali ha tenuto salda la barra («abbiamo solo fatto il nostro dovere, ora dobbiamo lavorare duro per migliorare la trazione nelle curve lente e la velocità»), ma anche dietro la sua montatura degli occhiali si intuiva il sollievo e la commozione di un capitano che temeva di dover affrontare un ribaltone profondo e doloroso, e invece di nuovo riconosce la rotta.

Come in Malesia era già capitato protagonista è stata la pioggia, che ha bagnato copiosamente il GP, costringendo anche ad una interruzione lunga 50 minuti che sicuramente ha messo a mollo i nervi di qualche pilota, e chiedendo gli straordinari alla safety-car, ma che ha regalato spettacolo anche nella giravolta dei pit-stop e delle scelta delle coperture. Dimostrando sempre più che la F.1 oggi è come una grande rappresentazione, una recita teatrale in cui tutti, dagli attrezisti al regista, devono dare il meglio se vogliono raccogliere l’applauso alla fine.

Alonso, stupendo mattatore, ha saputo tirare tutti i fili del copione, sfruttare le pause e i balbettii altrui per infilare ogni battuta al momento giusto, e confermando così alla fine di essere, oggi, il talento più completo del Circus. Uno dei pochissimi, forse il solo, capace di vincere, in determinate situazioni, anche con una vettura nettamente inferiore alla concorrenza. «Abbiamo massimizzato il nostro potenziale. La qualifica è stata buona, abbiamo fatto un pit-stop perfetto e oggi sono rimasto calmo anche in condizioni estreme. Siamo in momento duro, ma questa domenica ce la ricorderemo, anche se la vittoria non cambia nulla. Siamo in una posizione in cui non vogliamo essere, lottiamo per entrare nel Q3 e per entrare in zona punti, invece noi vogliamo batterci con i migliori. Oggi era importante non perdere punti rispetto ai leader, e ci siamo riusciti», ha spiegato Alonso.

Si è campioni anche, a volte soprattutto perché si è capaci di dominare i nervi. Si chiama classe, e Alonso ne ha più di tutti. Nel finale l’ottimo Perez gli è arrivato a un soffio («ero con la mescola dura e si stava degradando in fretta, purtroppo ho toccato un cordolo e sono anche stato fortunato a non finire fuori del tutto»), ma ha pagato l’ansia del colpaccio con un errore che gli è costato la gara. Potrà rifarsi, e lo ha già detto: «Noi della Sauber abbiamo davanti una grande stagione. Oggi del resto potevo vincere, e siamo solo alla seconda gara».

Anche Button si è fatto prendere dalla foga («tutto quello che poteva andare storto, oggi è andato storto»), il box McLaren ha azzoppato Hamilton con inciampi e insicurezze, Grosjean ha sprecato tutto all’inizio, e di Massa è meglio non parlare, visto che il brasiliano, ormai all’ennesima toppata, è finito sedicesimo, e ora rischia davvero il posto: c’è chi vorrebbe subito Perez al suo posto, e chissà che anche a Maranello non ci pensino seriamente, visto che battersi per il mondiale con un solo pilota significa regalare troppo alla concorrenza.

Una concorrenza, va detto, che non sembra spietata come l’anno scorso. Sulla griglia qualcosa sta cambiando, e lo sguardo preoccupato di Adrian Newey, che sotto il suo cappuccio cerato scrutava l’orizzonte di tempesta come un monaco in un romanzo di Dan Brawn, la dice lunga sui dubbi che attanagliano la Red Bull, quarta con Webber, ma fuori dai punti con un Vettel quasi sempre in marasma durante il weekend, e che solo per merito (o per colpa?) della testardaggine non ha voluto ritirarsi («Abbiamo avuto problemi con la radio, non riuscivo a comunicare e a capire cosa stava succedendo intorno a me») dopo il "bacetto" di Karthikeyan.

La Mercedes ha confermato i suoi problemi di affidabilità – ma Schumacher pagato l’irruenza di Grosjean, mentre Rosberg ha dovuto fare i conti con un degrado gomme che nei sorpassi (subìti) in curva lo faceva sembrare immobile. La Lotus si è confermata fra le possibili outsider di stagione, soprattutto grazie a un Raikkonen tignoso e continuo, Senna, Di Resta, Hulkenberg e Vergne hanno fatto sorridere Williams, Force India e Toro Rosso. A parte Caterham, HRT e la Marussia, squadre pagliericcio più che materasso, c’è la sensazione che come ci si aspettava i distacchi fra le scuderie quest’anno siano stati ridimensionati, che il gruppone vada verso un (parziale ricompattamento). Certo, non sempre arriva la pioggia a dare una mano, sparigliando le strategie e favorendo le doti di improvvisazione su quelle di solidità economica e tecnica, ma per il momento accontentiamoci di questa magnifica illusione. Per sbadigliare davanti a una futura restaurazione, c’è sempre tempo.
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