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30 Lug 2008 [23:46]

IL TEMA - L'incredibile crescita
dell'España de las carreras

A Valencia, durante lo scorso week-end, in cui International GT Open e F.3 spagnola hanno inaugurato il nuovo tracciato cittadino di F.1, un drappello di personaggi dello sport automobilistico spagnolo si è ritrovato per caso in uno degli hospitality presenti, alla ricerca disperata di un po’ di ombra e di una bottiglia d’acqua. C’erano ex-piloti di F.1, come Luis Pérez-Sala ed Emilio de Villota, un paio di titolari di team, responsabili della federazione e qualche giornalista di lungo corso.

Tutti a dare le proprie impressioni sul nuovo "gioiello" (certo, ancora da lucidare) che è il Valencia Street Circuit, poi inevitabilmente il discorso è scivolato sui tanti ricordi comuni, fin quando qualcuno ha rammentato, rivolgendosi a Villota e Pérez-Sala: “E dire che non tanti anni fa facevamo delle baldorie pazzesche per una qualificazione di Emilio o per il punticino conquistato da Luis a Silverstone nell’89!”

Eh, già: vent’anni anni possono sembrare tanti o pochi, ma quanta strada ha fatto la Spagna da corsa sin d’allora! Ci sono stati campioni mondiali nei rally e in F.1, cioè Carlos Sainz e Fernando Alonso, la Spagna ha ora ben due GP di F.1, i piloti spagnoli sono presenti in tutte le formule, c’è un prototipo made in Spain nella Le Mans Series (l’Epsilon Euskadi), s’è creato un vero e proprio tessuto di scuderie e di aziende specializzate nel motorsport. Ci sono (esistenti o in fase di completamento) una decina di piste sul territorio nazionale; le ultime: Monteblanco, da poco agibile, e Alcañiz, in fase di costruzione, con tanto d parco a tema. Emergono anche promoter iberici a livello internazionale come la RPM di Jaime Alguersuari che ha inventato la Formula Nissan e la World Series, la GT Sport di Jesus Pareja che si occupa della F.3 spagnola, del GT Open e del GT nazionale, o la società catalana che presiede alla nuova Superleague Formula.

Come si spiega uno sviluppo così ampio e così veloce? Chi scrive (e ha vissuto in prima persona questa trasformazione dello sport auto della sua altra patria) non ha la risposta fatta. O per lo meno, non una sola. E’ indubbio che, come in tutti gli altri campi (l’economia, il ruolo nel mondo, le arti, gli sport vari), anche nei motori, la Spagna, uscita da quarant’anni di dittatura franchista e di isolamento economico, abbia semplicemente ritrovato la posizione che le spetta (cioè, grosso modo, la quinta) fra le grandi nazioni europee. E che la formidabile spinta che l’ha proiettata verso l’alto sia stata inversamente proporzionale al ritardo accumulato. A partire dal nulla o quasi, a volte, si corre di più, come è stato anche per l’Italia del dopoguerra.

Ma è anche indubbio che gli spagnoli sono bravissimi a far sistema, come si è visto in altri campi, cioè a prefiggersi obiettivi e lanciarsi sfide e poi mettere insieme tutte le competenze e le risorse necessarie per raggiungerli. E così è stato anche nello sport dell'auto, dove tutti (costruttori, sponsor, poteri pubblici, enti sportivi) remano nella stessa direzione. Altrimenti non si può spiegare, per esempio, come a Valencia, in piena zona portuale, sorga un circuito urbano di F.1 in meno di due anni!

E’ un fenomeno che ha qualcosa di sorprendente perchè la Spagna, certamente, non è un paese monolitico a guida programmata, come la Cina, per fare un esempio di attualità. Come dappertutto in Occidente, gli interessi economici sono tanti e contrastanti, i partiti politici si scannano tra loro, i nazionalismi regionali sono più forti che altrove e, anche nello sport auto, ci sono cordate e parrochie opposte. Ma sembra anche esserci una visione chiara di ciò che è l’interesse comune e supremo, cosa che forse non esiste più altrove. E ci sono serietà, determinazione, senso del dovere, retaggi d’orgoglio di una nazione che nella storia è stata una super-potenza.

Dove si fermerà l’arrembante ascensione dell’España de las carreras lo vedremo in futuro. Successi e vetrine non nascondono il fatto che c’è ancora molto da recuperare su Germania, Italia, Inghilterra o Francia. Soprattutto sul campo della “cultura” automobilistica, di tutto ciò che è meno tangibile: una e vera propria tradizione dello sport auto è solo agli albori, la motorizzazione del paese è relativamente recente, l’industria automobilistica di base è “prestata” (cioè di matrice straniera), come dicono laggiù; la passione per le corse è ancora limitata a un’élite (se paragonata, ad esempio, alla febbre per le moto o per il dio-calcio) o troppo legata al tifo epidermico per il triunfador di turno. Ma intanto la macchina è partita, cammina forte e rimonta velocemente.

Alfredo Filippone
gdlracingTatuus