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8 Set [19:03]

Il commento di Alberto Sabbatini
"Perché dico no al ribaltone Ferrari"

Alberto Sabbatini - XPB Images

Come può uscire la Ferrari da questa crisi? Già, proprio la parola crisi che tanto spaventa Mattia Binotto. Lui rifiuta di usare quel termine e parla solo di tempesta, di momento difficile. Ma la parola crisi per inquadrare la situazione Ferrari è davvero la più appropriata. Il doppio ritiro di Monza è il peggior risultato di sempre della storia del Cavallino sulla pista di casa. Un duplice KO era avvenuto soltanto due volte prima di domenica scorsa: nel 1963 e nel 1995. Ma almeno, in quelle due edizioni la Ferrari era competitiva e si giocava la vittoria: nel ‘63 John Surtees aveva fatto la pole ed era in testa alla corsa prima che cedesse il motore; nel ‘95 Gerhard Berger scattava dalla seconda fila. Invece, quest’anno le Rosse erano drammaticamente più indietro. La mancanza di competitività è un fatto evidente e incontestabile.

Poi, c’è il problema affidabilità che adesso non è più un fatto episodico, ma ripetitivo. Il motore di Charles Leclerc che perde aria dal richiamo pneumatico delle valvole a Spa, i freni che fanno cilecca sulla vettura di Sebastian Vettel, sono sintomi di un peggioramento della qualità costruttiva dell’auto e del lavoro di montaggio da parte degli uomini del team. Appurato che di crisi vera si tratta, qual è la soluzione? Qui vi sorprenderò, forse, ma prendo le distanze dai tanti critici che vorrebbero la testa di Binotto. Tra cui un autorevole senatore della Repubblica che mi ha scritto un tweet in proposito. Io non credo al “ribaltone”. Provo a rispondere al senatore Gasparri e ai tifosi incazzati per dirvi perché, secondo me, non va bene sostituire Binotto adesso. Non penso che la ricetta giusta per rilanciare la Ferrari sia quella di mettere un nuovo personaggio a capo del reparto corse. Per due buoni motivi: mancanza di tempo e mancanza di alternative.



In F1 il team principal non è paragonabile a un allenatore di calcio
La F1 non è il calcio, dove basta cambiare allenatore per cambiare sistema di lavoro e risultati da una settimana all’altra. Nel mondo del pallone, l’allenatore è una figura-chiave perché detta schemi, metodi di gioco e ritmi di allenamento. Ma è anche una sorta di motivatore psicologico della mente dei suoi atleti. Un ruolo determinante ai fini del risultato. Cambiando allenatore, si sostituiscono sia gli schemi di gioco sia la motivazione dei giocatori. Gli effetti si vedono in fretta. Non ci vogliono anni, ma poche settimane.

La F1 non funziona così. La F1 è fatta di tecnologia e progettazione, due compiti richiedono tempi lunghi; i telai si cominciano a progettare nove mesi prima che la macchina scenda in pista. Si inizia a disegnarla a giugno/luglio per farla correre a marzo dell’anno dopo. Per fare un motore nuovo servono poi mesi e mesi. In una squadra di F1, sono coinvolte mille persone che vanno gestite, fatte collaborare fra di loro, e soprattutto conosciute a fondo per saperne sfruttare le qualità e le competenze specifiche di ciascuno.

Ai piloti poi non serve un mental coach, ma un motore con un sacco di cavalli. E un buon telaio. Cambiare “l’allenatore”, cioé il team principal, sarebbe ora soltanto un gran casino per Maranello. Significherebbe ricominciare da zero, perdendo almeno tre anni di riorganizzazione tra impostazione e progetti. Perché il nuovo arrivato – specie se esterno e ancor peggio se straniero – dovrebbe prima imparare a capire come funzionano le cose nell’azienda di Maranello. Poi, conoscere i tecnici, capire il metodo di lavoro per decidere se funziona o no e se è il caso di impostarne un altro. Un ribaltone gerarchico, insomma, che secondo me allungherebbe i tempi, quindi peggiorerebbe le cose invece di migliorarle. Provocherebbe il caos a tempi brevi, non la riscossa. Ci vorrebbero anni per far ripartire il lavoro secondo un nuovo metodo. E la Ferrari non può permettersi di sprecare altri anni.

Quale sarebbe poi, il nome giusto per rimpiazzare Binotto?
E poi c’è un problema non da poco: chi mettereste al posto di Binotto? Un team principal non è mica come l’allenatore di calcio, non è una figura che si trova così facilmente sulla piazza. Servono competenze politiche, gestionali, finanziarie, tecniche. E cultura sportiva automobilistica. Difficile trovare il giusto candidato in fretta per una squadra complessa come la Ferrari. La gente adatta si conta sulle dita di una mano. Una volta Marchionne vedeva bene Frederic Vasseur (quello della Sauber Alfa Romeo), nella foto sotto, ma oggi la sua stella brilla meno.

E poi, chi c’è in giro disposto ad accettare la sfida di Maranello sapendo che si troverebbe sulla graticola delle critiche di stampa e tifosi finché non arrivano i risultati? Il numero uno assoluto in quel ruolo è Toto Wolff, ma impossibile pensare che si sposti a Maranello. Primo, perché è azionista di Mercedes Motorsport, secondo perché è azionista Aston Martin, terzo perché è troppo furbo e conosce troppo bene la realtà italiana per non sapere che farebbe tanta fatica a cambiare tutto. Impiegherebbe troppo tempo a riorganizzare la Scuderia. Troppo complicato. Queste ristrutturazioni profonde richiedono tempo e la Ferrari proprio non ne ha da perdere.

Basta guardare gli esempi del passato. JeanTodt quando arrivò a Maranello nel luglio 1993, ci mise quattro anni, fino a metà 1997, per rendere vincente il Cavallino ricostruendo lo staff e assumendo tecnici e piloti. Ed ha attraversato molti momenti di crisi. Anche la Mercedes, l’imbattibile Mercedes di oggi, nei primi tre anni del suo rientro in F1 gestita da Ross Brawn e da Niki Lauda, mica da due incompetenti, ha faticato non poco a trovare la strada della vittoria. Dal 2010 al 2012 ha raccolto soltanto una pole e una vittoria, più altri tre trionfi nel 2013 prima di azzeccare la soluzione vincente del turbo ibrido. Nessun team di F1 si ricostruisce in fretta dalle fondamenta nello spazio di qualche mese. Servono anni e soldi. A Maranello i soldi non sarebbero un problema, è il tempo che manca. Ci vogliono risultati in fretta. Per calmare gli animi dell’opinione pubblica e placare soprattutto gli azionisti di borsa, che è quello che sta più a cuore a Maranello perché il valore finanziario dell’azienda viene da lì.



Adesso serve un vero direttore tecnico
Per questo motivo, l’unica strada “veloce” per rilanciare in fretta la squadra è lasciare Binotto al comando, come team principal. E trovare un vero direttore tecnico da affiancargli nel processo di lavoro attuale. Uno bravo, esperto e “scafato”, uno che abbia idee chiare sugli obiettivi prestazionali che deve avere una monoposto di F1 e su come arrivarci. A mio parere, Binotto dovrebbe dedicarsi soltanto al ruolo di team principal, di organizzare bene i ruoli in squadra e i metodi, impegno determinante e strategico che solo lui – che conosce l’ambiente Ferrari da 25 anni – può svolgere al meglio. E poi occuparsi delle strategie politiche del Cavallino in chiave regolamentare, finanziaria e strategica. Cosa che, tra l’altro, ha dimostrato di saper fare.

Dunque, dovrebbe andare sul mercato a cercare un vero direttore tecnico. Bravo, con le palle, anche straniero, che lo sostituisca in tutto e per tutto sul lato tecnico, ma che goda della sua fiducia. Uno che non deve progettare (come Ross Brawn ai tempi di Todt) ma che coordini i vari capireparto di motore, telaio progettazione, motore, aerodinamica e sviluppo: Cardile, Gualtieri, Resta, Mekies e gli altri. Il potenziale per un salto di qualità c’è: le regole del congelamento permettono di rifare il motore in inverno. Ma motoristi, telaisti e aerodinamici devono coordinarsi bene. Serve qualcuno, un direttore tecnico che li faccia lavorare in sincronia. Sarà una coincidenza, ma gli unici due team F1 (oltre a Ferrari) che non hanno un vero direttore tecnico nell’organigramma sapete chi sono? Haas e Williams. Cioé gli ultimi due dello schieramento. Evidentemente, senza quel tipo di figura, una squadra è zoppa. Non gira al massimo.

Per il Cavallino è più facile trovare sul mercato un valido direttore tecnico piuttosto che un team principal. Di nomi potenziali ce ne sono parecchi: James Key (nella foto sotto) o Peter Prodromou entrambi della McLaren, Andy Green della Racing Point, qualche uomo della AlphaTauri, come il DT Jody Egginton. O ancora, fare come la McLaren che è andata a pescare l’uomo giusto nel WEC (Andreas Seidl ex Porsche). Uno adatto a Maranello c’è pure in Germania: è Dieter Gass, capo del reparto corse Audi, con esperienze in F1 alla Toyota; uno che per di più parla perfettamente la nostra lingua, perché sua moglie è italiana. E poi c’è sempre quel signore di Parma che ora, liberato dall’obbligo di stare a Brackley, è attualmente direttore tecnico della Dallara e la cui esperienza potrebbe venire davvero buona a Maranello: Aldo Costa. La scelta insomma, per un vero direttore tecnico di prestigio non manca.



Con la doppia figura, il team Ferrari funzionava meglio
Fateci caso: la Ferrari del 2017/2018 funzionava meglio quando era organizzata con la doppia figura: Sergio Marchionne (più lui che Maurizio Arrivabene) faceva di fatto il team principal, cioé decideva le linee politiche del team, mentre Binotto faceva il direttore tecnico. Da quando Marchionne ci ha lasciato e Binotto è stato chiamato a ricoprire il doppio ruolo, qualcosa s’è inceppato. Nessun team in F1 può avere la stessa persona per seguire due ruoli così importanti e delicati. Binotto stesso l’ha capito e ha deciso di dedicarsi solo al ruolo di team principal; solo che lui nella riorganizzazione di inizio estate, ha di fatto eliminato il ruolo del direttore tecnico responsabilizzando i suoi subalterni: Cardile, Gualtieri, Resta, Sanchez.

Ma è evidente che questo assetto non funziona. Serve un d.t. di valore che per competenze e prestigio sia al di sopra di tutti loro. E si confronti con il team principal. Come faceva Ross Brawn a Maranello con Todt, come Aldo Costa con Domenicali, come James Allison prima che Marchionne frettolosamente lo cacciasse via. Le epurazioni non sono la soluzione in questi momenti. Serve aggiungere gente nuova nei punti scoperti, non mandare via chi c’è già. Questo sbaglio Ferrari l’ha fatto troppe volte in passato. Costa, Allison, Tombazis, l’elenco è lungo. E ci si ritrova solo con i subalterni.

Il CEO Camilleri lancia messaggi di stabilità per... Wall Street
Camilleri però, sembra voler appoggiare l’idea di non fare ribaltoni. Tanto che alla vigilia di Monza, in un’intervista al New York Times, dopo aver riconfermato fiducia a Binotto, ha detto: «In passato troppe persone sono state spinte ad andare via, c’era un’atmosfera da porte girevoli e sto mettendo uno stop a questo andazzo. Il ciclo vincente della Red Bull o della Mercedes hanno avuto una chiave che a noi è mancata: la stabilità». Che era poi tanti anni fa anche il segreto della Ferrari vincente di Montezemolo: la famosa stabilità dinamica. Cioè pian piano rafforzare lo staff con nuovi innesti. Per il CEO Camilleri, adesso l’importante è tenere tranquilli sponsor e finanziatori del Cavallino. Non creare panico in borsa attorno al nome Ferrari evocando ribaltoni.

Ecco perché la sua intervista alla vigilia di Monza l’ha rilasciata al New York Times e non ai giornali italiani: perché più che ai tifosi ha voluto parlare alla borsa americana, agli azionisti della Ferrari che acquistano a Wall Street le azioni RACE della Ferrari e ne stanno decretando il successo finanziario. Alla vigilia del millesimo GP della Ferrari in F1, ha voluto dare loro un messaggio di stabilità. Far capire loro che la squadra è sotto controllo, a dispetto dei risultati sportivi. Perché più la parte finanziaria è solida, più ci sono risorse da spendere per la F1. Per ora, la mossa pare funzionare: il titolo borsistico Ferrari dopo Monza ha retto: ha fatto lievi alti e bassi ma con flessioni dell’1%. Un’inezia. E comunque ben superiore ai 148 euro a cui era quotato a giugno.

Inviato F1 per la Gazzetta dello Sport, ex direttore di Rombo e Autosprint, oggi Alberto Sabbatini scrive per Autosprint e Auto e... per noi.