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30 Gen 2017 [14:07]

La parabola della Manor
Sette stagioni di fatica

Jacopo Rubino - Photo4

Questa volta niente lieto fine. La Manor non è riuscita a risorgere, come in questi anni ci aveva spesso abituato con diversi passaggi di mano e cambi di identità. L'avventura in Formula 1 della piccola scuderia britannica è giunta al capolinea venerdì, dopo tre settimane in regime di amministrazione controllata e la speranza che si presentassero investitori all’altezza. La griglia 2017 si ritroverà con due macchine in meno e senza quella che era diventata la sua Cenerentola. Un ruolo ingrato, ma necessario per gli equilibri della categoria regina.

Fatale l’exploit Sauber a Interlagos
Il rammarico è forte, perché probabilmente non sarebbe servito molto a salvare il team. La perdita del decimo posto nel Mondiale 2016, sfuggito in volata in favore della Sauber, si è purtroppo rivelata fatale facendo sfumare diversi milioni di euro preziosi. Il colpaccio di Pascal Wehrlein, a punti in Austria, è stato insomma vanificato. La Manor diventa l'ultima vittima di un criterio di distribuzione dei proventi ingiusto, che taglia fuori le piccole realtà e non fa altro che rendere sempre più ricche le scuderie di vertice. Una stortura del Patto della Concordia siglato nel 1996, ma in un'epoca ben diversa da quella attuale. È sì vero che questo sistema è lo stesso che alla Manor ha permesso di sopravvivere nel 2015, quando la griglia era composta da sole dieci squadre e le è bastato marcare presenza con una vettura obsoleta. Ma aveva pure tolto alla F1 l'onta di uno schieramento da sole 18 auto, troppo poco. Ci chiediamo invece se i nuovi padroni del Circus, gli americani di Liberty Media, non avessero potuto intervenire. Sarebbe stato un bel segnale di discontinuità rispetto all’era Ecclestone.

L’eterna lotta con Caterham e HRT
A soccombere a fine 2014 era già stata la Caterham, a cui non bastò la spinta del crowdfunding e il rientro ad Abu Dhabi per prolungare la propria esistenza. La compagine del magnate malese Tony Fernandes era sempre apparsa la più ambiziosa del terzetto che debuttò in F1 nel 2010 sotto la spinta di Max Mosley. L’ex presidente della FIA voleva ridare ossigeno alla griglia dopo gli addi shock di Toyota e BMW, spingendo per l'idea del budget cap. Che non si è mai materializzata. Caterham (all'epoca Lotus Racing, con la casa inglese che ritirò poi il suo appoggio), Hispania e quella che all'inizio si chiamava Virgin Racing hanno così gareggiato sempre in una lega a parte, solo per evitare l'onta di essere fanalini di coda. E in quel primo anno fu proprio la Virgin a ritrovarsi ultima, nonostante discrete premesse: una coppia di piloti interessante, formata dal già esperto Timo Glock e dal rookie di lusso Lucas Di Grassi, i fondi del magnate Richard Branson, la collaborazione tecnica con Nick Wirth e l’idea di rinunciare alla costosa galleria del vento per definire l’aerodinamica soltanto usando le simulazioni computerizzate. Qualcosa che probabilmente sarà il futuro del motorsport, ma all’epoca era forse troppo presto.

I cambiamenti e il sorpasso alla Caterham
Da allora la compagine con base a Banbury ha via via mutato pelle. È arrivato il costruttore di supercar Marussia, dapprima come sponsor e poi come proprietario, mentre il marchio Virgin è progressivamente sparito insieme alla figura dell’eclettico Branson. Che in F1 non ha avuto la stessa fortuna di altre fra le sue innumerevoli iniziative imprenditoriali, probabilmente sottovalutando la portata della sfida. E intanto anche l’utilizzo della galleria del vento non è stato più un tabù, ma senza produrre significativi passi in avanti. Anzi, nel frattempo avviene il terribile incidente costato la carriera a Maria de Villota, al suo primo test, avvenuto all'aerodromo di Duxford. Siamo nell'estate del 2012. Nel 2013 l’ormai Marussia è stata però capace di sorpassare la rivale Caterham, l’unica rimasta dopo la resa della HRT, ma il primo momento di gloria è arrivato solo l’anno seguente: resterà scolpita nella memoria la fenomenale corsa di Jules Bianchi, nono a Montecarlo con la MR03 dotata di power unit Ferrari. Un risultato che ha permesso di mettere dietro nel Mondiale persino la Sauber, ma quella gioia è stata purtroppo seppellita dal tragico incidente del francese a Suzuka. Quindi l’assenza dal GP successivo in Russia, l’ingresso in amministrazione controllata, un complicato inverno e una faticosa salvezza raggiunta grazie all’intervento del businessman Stephen Fitzpatrick per affrontare la stagione 2015.

La resistenza e la risalita
Nel 2015 la Manor (questo il nome originario della squadra, famosa per i tanti trionfi nelle serie minori) ha marciato da sola in fondo al gruppo, schierando la vecchia monoposto senza velleità. Quindi la rivoluzione del 2016: via il fondatore John Booth e il suo braccio destro Graeme Lowdon, che si sono lanciati nel WEC, ecco l’ambito motore Mercedes con prospettive di una collaborazione più ampia, e figure interessanti come Dave Ryan (ex ds McLaren), Pat Fry e Nick Tombazis a rinforzare lo staff tecnico, l’italiano Luca Furbatto nel ruolo di progettista. Ne è nato un buon pacchetto che ha consentito al debuttante Wehrlein di mettersi più volte in luce, anche in qualifica. E da meno non è stato Esteban Ocon, subentrato da Spa alla meteora Rio Haryanto. Certi exploit avevano persino messo in imbarazzo la rientrante Renault, inchiodata nelle retrovie. Tutto bene o quasi fino al diluvio di Interlagos, quando una piccola impresa di Felipe Nasr ha riportato avanti in classifica la Sauber. È stato l’inizio della fine.

La foto di addio
Dopo l’ufficialità dello stop data dagli amministratori di FRP Advisory, lo staff che era rimasto operativo ha posato per una foto ricordo attorno al modello in scala di quella che sarebbe stata la vettura 2017. Un’immagine dal sapore amaro, il saluto a qualcosa che non vedremo in pista. Domani verranno erogati gli ultimi pagamenti per il personale, poi giù il sipario.

Nella foto, la Virgin Racing al debutto in Formula 1 nel GP Bahrain 2010
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