Alfredo Filippone - XPB Images
“Niesamowite!”, cioè ‘irreale’ : così titolava ieri parcfer.me, il maggior sito polacco di sport auto, la notizia della vittoria di Robert Kubica a Le Mans, celebrando giustamente, vista anche la vittoria del team Interpol in LMP2, “la miglior giornata nella storia del motorsport polacco”. Certamente una grande gioia anche per tutti gli appassionati della terra che conoscono la parabola, umana ancor prima che agonistica, di Robert, in particolare in Italia, che lui ha eletto a seconda patria, e dove ‘L’indistruttibile’ (questo l’azzeccato titolo di una bella biografia che gli è stata dedicata e che varrebbe la pena veder tradotta) è amatissimo.
Dire che questa vittoria, in una delle gare, se non la gara più prestigiosa al mondo, chiude un cerchio può essere vero, anche se usare il verbo ‘chiudere’ quando si parla di Robert è quanto meno incauto, come lo è sprecare superlativi, che lui fa diventare banali ad ogni nuova sfida che si prefigge e vince.
Lo si è capito anche ieri, nei suoi gesti e dichiarazioni del dopo-gara, che esprimevano soddisfazione, ma erano privi di particolare euforia o emozione. E’ una caratteristica fondamentale del personaggio, come mi spiegò meno di un anno fa in una lunga e sincera intervista per una rivista spagnola, che ora aiuta a capire meglio il ‘fenomeno Kubica’:
“Dovrei gustarmi di più i successi, ma sono fatto così, quando conseguo qualcosa sono già proiettato in avanti verso l’obiettivo successivo.” Fu anche così il giorno del primo (rimasto unico) GP vinto, a Montreal nel 2008: “La domenica sera ero già su un volo per l’Europa, per essere a dei test a Valencia il lunedì.” E quasi divertito aggiunse: “Forse quando mi ritirerò, quando tutto questo sarà finito, il Robert persona saprà apprezzare meglio quanto ha fatto il Robert pilota.”
Il trionfo a Le Mans forse è il più bello, ma non offusca certo quanto Robert ha saputo conquistare dopo il tremendo incidente rallystico del 6 febbraio 2011 che ha cambiato il corso della sua esistenza: dal titolo mondiale in Wrc2 del 2013, al ritorno in F.1 nel 2019 e ai tre titoli in LMP2 (ELMS e WEC) più recenti. In un momento di quell’incontro, gli dissi che per me la performance più probante della seconda parte della sua carriera di pilota è stato l’aver scoccato il miglior tempo assoluto nelle prime due speciali del Montecarlo 2014. Per un attimo ebbe un raro sorriso di compiacimento, anche se la risposta fu sobria: “Mi fa piacere che tu lo dica, perchè lo penso anch’io.”
La scelta dei rally mondiali per il rientro, mi spiegò, “fu una pazzia”, che rispondeva a quanto gli dettava l’animo in un momento in cui il lungo percorso di accettazione delle sue nuove condizioni e abilità fisiche non era ancora completato. Ad inizio del 2012 aveva fatto un test con una Mercedes DTM a Valencia, un regalo di Toto Wolff, che era andato bene, ma che non lo fece sentire a suo agio: “Non era una F1, ma era una macchina da corsa vera, e un circuito sul quale avevo corso. Non potevo evitare di fare paragoni con quanto vissuto prima e di pensare che tutti avrebbero fatto lo stesso ragionamento. Preferii cimentarmi nel WRC, dove ero un debuttante e non c’erano punti di riferimento miei, ma fu un vero salto nel buio.”
Cosa che fece con la ferrea determinazione di sempre e quell’instancabile perfezionismo che è diventato il marchio che ha lasciato in ogni team per cui ha lavorato, costruendosi la reputazione di ‘rompiscatole’, detto come complimento, “perchè Robert, con la sua capacità di lavoro, il suo puntiglio e l’ossessione per migliorare, è uno che sa spronare e far fare passi avanti a tutto un team”, come dice Vincent Vosse che lo ha avuto due anni in WRT, e che domenica, al termine di una 24 Ore poco felice per la sua squadra, ha subito voluto far arrivare le sue congratulazioni a chi ha vinto, “in particolare a Robert e Yifei Ye, che hanno riavuto quanto la sfortuna aveva tolto loro qualche anno fa quando correvano con noi.”
Allusione al crudele scherzo del destino che li aveva privati di una vittoria certa in LMP2 nel 2022, all’ultimo giro, per un cortocircuito causato da una fuga di liquido dal tubicino della borraccia con cui si dissetano i piloti... Un motivo in più per dire che, da ieri, giustizia è fatta.