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10 Set [11:20]

Earnhardt rivela: oltre 20 traumi cranici
La paura, i rischi e le conseguenze

Marco Cortesi

In una lunga intervista al popolare show "In Depth with Graham Bensinger", rilasciata per promuovere il suo nuovo libro, Dale Earnhardt Jr ha rivelato scioccanti dettagli riguardanti gli effetti dei traumi cranici subiti in carriera, che hanno alla fine rischiato di compromettere non solo la sua attività di pilota, ma anche la vita quotidiana. Earnhardt sta cercando di fare in modo che venga data più attenzione al tema, tenendo se necessario i piloti "a piedi" per evitare altri danni.

Il figlio del grande Dale Earnhardt Sr, scomparso a Daytona nel 1999, ha spiegato di aver avuto almeno 20 traumi cranici, molti dei quali, così come le conseguenze, sono passati inosservati al mondo esterno, perfino alla famiglia. Dopo un gran botto nel 2012 e i primi sintomi, per lui diventò più facile ricadere nelle problematiche da trauma cranico, anche con incidenti minori.

L'esempio più impressionante è relativo al 2014, in cui Earnhardt non saltò nemmeno una gara: "Mi sembrava di essere ubriaco e in casa non riuscivo a fare le cose più semplici. Perfino infilarmi una cintura e allacciarmi le scarpe era difficile. Non riuscivo a mettere insieme una frase perché non mi ricordavo questa o quella parola, e mi sembrava che la mia lingua diventasse un pallone quando dovevo pronunciare due consonanti insieme. Se dovevo guardare vicino e poi lontano, i miei occhi impiegavano diversi secondi a mettere a fuoco." A tutto ciò si aggiungevano attacchi di rabbia, nausea, mal di testa... Eppure, non fece una piega.

Il problema principale, secondo Earnhardt, è la percezione del mondo esterno, e del rischio per un pilota di perdere il lavoro: "Anche se sai di aver avuto questo problema, non puoi pensare di dire a qualcuno che vuoi fermarti, nemmeno per una gara, perché sai che si metteranno in testa che non potrai più tornare come prima, ed è difficile spiegarlo a qualcuno che non ci è passato, neanche a tua moglie.

"Nessuno alzerà la mano per dire di avere un problema e chiedere aiuto e, quando io l'ho fatto, era già troppo tardi. Questo tipo di situazioni sono il peggior nemico di un pilota, che farà tutto il possibile per mantenere il posto, continuare a correre, non permettere a nessuno di conoscere il segreto. Il mio obiettivo è proteggere i piloti da loro stessi...

"Quando succedeva a 20 anni, non sapevi di essere infortunato. Uscivi dalla macchina e dicevi 'mi sento un po' sballottato, ma ho avuto un incidente. Vado a casa, a dopo!' Ma se ci fosse stato un neurochirurgo in pista avrebbe sicuramente voluto trattenerti e farti almeno un test prima di rimandarti a casa."

Ad impressionare ancora di più è il racconto dei problemi che, nel 2016, avevano tenuto fuori Earnhardt per più di mezza stagione, e per i quali non poteva più guidare nemmeno per strada, e faceva fatica a restare in piedi senza perdere l'equilibrio: "I sintomi non arrivarono di colpo, fu come un'influenza. È stata una progressione, non legata a un incidente." Così preoccupanti che Earnhdardt iniziò ad annotare le sue esperienze di modo che, se avesse perso la capacità di comunicare o ci avesse lasciato le penne, qualcuno avrebbe potuto trovare spiegazioni:

"Mi sentivo compromesso, delicato, e nel caso avessi avuto un altro incidente che mi avesse danneggiato così gravemente da non permettermi di comunicare con gli altri, volevo che rimanesse una documentazione di quello che mi stava accadendo. Avevo paura, anche dei piccoli incidenti mi davano problemi. Perché non riesco più a recuperare da degli incidenti che gli altri sopportano senza problemi o che io stesso sopportavo senza battere ciglio?"

Lì è arrivata la decisione di ritirarsi, anche se poi completò la stagione 2017, l'ultima del contratto: "Quando abbiamo discusso con Hendrick del contratto, io non me lo ricordo, ma ho semplicemente lasciato uscire tutte le mie preoccupazioni e frustrazioni, in modo anche acceso. La settimana dopo, ero in ospedale... Quando poi ho annunciato il ritiro ero solo contento di non essere in macchina, di non rischiare di prendere altre botte in testa e stare male."

Tuttavia, le preoccupazioni per una eventuale re-insorgenza dei sintomi sono rimaste: "Quest'anno a Martinsville, eravamo al muretto, e ho avuto un malessere, ho avuto voglia di scappare e mi sono dovuto allontanare dalle macchine, dal muretto, perché ho avuto il terrore che stesse tornando... cosa che potrebbe accadere a qualche punto..."

Quello dei traumi cranici nel motorsport e nello sport in generale è un problema spesso sottovalutato, soprattutto in passato. Molto sta però cambiando, ad esempio coi sensori che rilevano le decelerazioni e che, quando si attivano, obbligano il pilota a ricorrere all'aiuto dei medici, o con i test IMPACT che misurano la reattività. Però, come dice Earnhardt, ci sono tanti sportivi che, arrivati alla mezza età, accusano conseguenze apparentemente inspiegabili riconducibili ai traumi cranici, ed è anche a loro che è rivolto sia il libro, che il lavoro da testimonial...