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4 Nov 2009 [11:18]

Il caso Toyota
Quando la F.1 non fa rima con business

Le grandi aziende non amano giocare, specialmente se il gioco è d'azzardo, e se la roulette è russa. Con la decisione di Toyota di eliminare il programma Formula Uno, è emerso ancora più prepotente il distacco tra i grandi costruttori e gli uomini che in loro rappresentanza hanno agito in Formula 1, e che nell'ora dei Consigli di Amministrazione hanno pagato dazio. Più di una persona si era chiesta, quando John Howett dichiarò "Toyota non accetterà mai un tetto al budget", quanto Akio Toyoda potesse essere d'accordo con una linea di pensiero del genere, tanto più quando, nonostante l'azzeccata trovata del doppio diffusore, la prima vittoria tardava a venire.

La F.1 sta vivendo da qualche anno il più grande successo di sempre, con eventi di grande visibilità, dai grandi numeri. Una Formula Uno in cui però, almeno in apparenza, chi sta guadagnando non coincide con chi ha investito per molto tempo. C'è un netto scollamento tra la F.1 dei grandi manager e chi, detto brutalmente, ci ha messo i soldi. Il successo mediatico e politico non ha posto in un bilancio se non fanno rientrare dagli investimenti. Ad esempio, ci si chiede quanto i successi clamorosi di Abu Dhabi e Singapore (anche grazie ai concerti che forse hanno un po' gonfiato i numeri) abbiano effettivamente impattato sulle vendite delle auto per i grandi costruttori impegnati nel mondiale. Sul core business che, specie in momenti di crisi, è quello che conta in un consiglio di amministrazione.

L'uomo della strada vede le gare, magari restando particolarmente entusiasmato, ma non compra perché è affascinato dallo show, dal contorno, come si entusiasma per l'ultima puntata del Grande Fratello, nulla di più. Si rimane a bocca aperta per una grandeur fine a sé stessa, per un trionfo indiscutibile, ma in buona parte autoreferenziale. Da qui le gare in capo al mondo, agli orari più strani, che scalfiscono i mercati superficialmente. Specie se, spesso e volentieri, non si riesce a portare in pista un pilota nazionale, preferendo muoversi nell'ottica promozionale di questa o quella serie minore anziché di chi paga lo stipendio. In USA si dice che chi vince la domenica debba vendere il lunedi. D'altronde un tifoso di Dale Earnhardt Jr non comprerebbe mai una Toyota, sua marca rivale. Difficile pensare lo stesso per il pur ottimo Timo Glock, che è solo un esempio per fare capire la china che le cose hanno preso.

Marco Cortesi
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