Massimo CostaNessuno come la Gran Bretagna, o Regno Unito, fate voi. Di cosa stiamo parlando? Dei campionati del mondo conquistati per nazionalità, i titoli iridati vinti dai singoli piloti dal 1950, anno della nascita del Mondiale F1, al 2025. Ebbene, il Paese dove ancora vige la monarchia, la fa da padrone assoluto.
Da Mike Hawthorn a Lando Norris, sono ben 11 i piloti britannici capaci di vincere uno o più campionati mondiali di F1 per un totale inarrivabile di 21 corone. Chi sono? Nel 1958 il primo a imporsi è Hawthorn al volante della Ferrari. Poi, quattro stagioni di dominio assoluto tra il 1962 e il 1965 grazie a Graham Hill (BRM), Jim Clark (due volte con la Lotus) e John Surtees (Ferrari).
Nel 1968, si ripete Hill (sotto nella foto), questa volta con la Lotus, e subito l'anno successivo a festeggiare è Jackie Stewart su Matra gestita da Ken Tyrrell. Lo scozzese rivince nel 1971 e 1973 con la Tyrrell. Trascorrono soltanto tre anni e di nuovo un inglese è sul tetto del mondo: James Hunt con la McLaren.

Segue una pausa e si arriva al 1992 quando a vincere il titolo è
Nigel Mansell con la Williams. Quattro stagioni e nel 1996 la coppa assoluta l'alza Damon Hill, figlio di Graham, con la Williams. Dopo di che, bisogna attendere il 2008 con il giovanissimo Lewis Hamilton su McLaren, poi subito l'anno dopo è Jenson Button con la incredibile Brawn a prendersi il titolo iridato.
Hamilton rivince nel 2014 e 2015 con la Mercedes, poi ne infila quattro consecutivamente (sempre con la Mercedes), tra il 2017 e il 2020. E si arriva a oggi, con la bandiera britannica che sventola nuovamente su tutti con Lando Norris e la McLaren.
In questa speciale graduatoria, in seconda posizione troviamo la
Germania con ben 12 titoli spalmati su tre piloti. Sette i mondiali ottenuti da Michael Schumacher: 1994-1995 con la Benetton, dal 2000 al 2004 consecutivamente con la Ferrari. Poi, ecco Sebastian Vettel, campione con la Red Bull dal 2010 al 2013. Infine Nico Rosberg, vincente nel 2016 con la Mercedes.
Al terzo posto si colloca il
Brasile con 8 campionati conquistati grazie a tre piloti: Emerson Fittipaldi (1972 con la Lotus, 1974 con la McLaren), Nelson Piquet (1981 e 1983 su Brabham, 1987 su Williams) e Ayrton Senna (1988, 1990, 1991 su McLaren).
Regge al quarto posto
l'Argentina con 5 mondiali tutti vinti da Juan Manuel Fangio nel 1951 su Alfa Romeo, successivamente nel 1954 tra Maserati e Mercedes, nel 1955 su Mercedes, nel 1956 con la Ferrari e nel 1957 con la Maserati.
A quota 4 mondiali ci sono Austria (Jochen Rindt e Niki Lauda con tre), Francia (Alain Prost), Australia (Jack Brabham con tre e Alan Jones), Finlandia (Keke Rosberg, Mika Hakkinen con due, Kimi Raikkonen), Olanda (Max Verstappen).
Finalmente ecco l'Italia, con 3 vittorie, in tempi lontanissimi. Giuseppe Farina su Alfa Romeo nel primo campionato del mondo della storia, quello del 1950 (sopra nella foto), a cui segono i titoli vinti da Alberto Ascari su Ferrari nel 1952 e 1953.
Proseguendo nell'elenco, troviamo la
Spagna con due vittorie (Fernando Alonso) come gli USA (Phil Hill e Mario Andretti), mentre con un successo c'è il Canada (Jacques Villeneuve), la Nuova Zelanda (Dennis Hulme) e il Sud Africa (Jody Scheckter).
Ci si potrà chiedere come mai la Gran Bretagna è riuscita ad avere 11 piloti campioni del mondo per un totale di 21 titoli iridati. Proviamo a dare una risposta. Il motorsport è ben radicato nel Paese,
la passione per le corse è genuina e non risponde a un singolo marchio come accade in Italia, dove a trascinare è soltanto la Ferrari, i tanti circuiti presenti nell'isola sono sempre affollati per ogni tipo di gare che si svolgono settimanalmente.
In UK c'è una formazione culturale decisamente diversa che accompagna tanti giovani verso il karting e poi a compiere i primi passi in monoposto. E numerosi sono infatti gli inglesi presenti nelle serie dalla F2 in giù. Da sempre, a parte poche eccezione, tutti i team di F1 hanno la propria sede in Gran Bretagna dove esistevano anche costruttori solidi delle formule minori come March, Lola, Ralt, Reynard, Chevron. E anche questo ha avuto un indubbio peso.
Ma dal 2000 in avanti, questi ultimi sono stati spazzati via dalla crescita esponenziale delle capacità industriali italiane che con
Dallara e Tatuus hanno via via scavalcato i britannici in tutte le categorie esistenti in Europa, Giappone e USA, lasciando le briciole ai francesi della Ligier, ex Mygale,
Nonostante questo domiinio dei costruttori italiani Dallara e Tatuus, sempre nascosti dall'ombrello Ferrari, a cui va aggiunta anche la crescita nel motorsport del marchio Lamborghini nelle corse per vetture GT (e purtroppo sono spariti marchi storici e vincenti come Alfa Romeo e Lancia), il tricolore in F1 non svolazza e non si impone da tempo immemore. E dire che abbiamo un
numero di circuiti belli, difficili, importanti, che nessuna altra nazione può vantare.
Guardando al passato non troppo lontano, ci sono stati anni molto prolifici, grazie alla presenza di numerosissimi sponsor nazionali che avevano portato in F1 anche 12-13 piloti in una sola stagione, con nomi di spicco, e vincenti, quali Riccardo Patrese, Michale Alboreto, Bruno Giacomelli, Andrea De Cesaris ed Elio De Angelis,
Poi, è stato il turno di
Giancarlo Fisichella, sopra nella foto, e Jarno Trulli che per almeno 15 anni sono stati presenza fissa nel mondiale. Ma con pochissimi altri connazionali a combattere con loro in pista, segnale iniziale di una situazione prossima alla crisi sempre più evidente. Usciti di scena il romano e i pescarese, ecco il vuoto del motorsport italiano in F1, nonostante i nostri piloti si siamo sempre ben distinti nelle formule minori. Un controsenso.
Negli anni si sono persi molti sponsor, l'interesse è scemato, la federazione italiana ha sempre fatto poco o nulla, chiusa in se stessa e completamente incapace (meglio dire disinteressata) nel valorizzare i suoi ragazzi.
Negli ultimi anni però, qualcosa è cambiato nella federazione, l'attenzione verso le formule minori è cresciuta, alcuni giovani sono stati supportati e questo è stato sicuramente un bel passo in avanti. E chissà che ora, con un nuovo giovane presidente di Aci Sport (ancora non insediato) e l'uscita di scena di alcuni pesanti dinosauri, non si possa fare ancora meglio.