Il racconto di Alfredo Filippone
Ricorre oggi il quarantesimo della scomparsa di
Stefan Bellof, uno dei talenti più cristallini che l’automobilismo abbia conosciuto, e del tremendo incidente alla 1000 km di Spa che coinvolse anche Jacky Ickx e troncò la parabola del campione tedesco quando era appena iniziata. Il rimpianto per ciò che sarebbe potuto essere e non fu è vivissimo ancora oggi fra coloro che vissero, da testimoni diretti o da spettatori, l’ascesa di Bellof.
Lo ha raccontato perfettamente Massimo Costa lo scorso anno su queste pagine (
Quel GP di Monaco in cui la stella di Bellof luccicò) ricordando il fantastico terzo posto ottenuto da Bellof in quella bagnatissima gara di Monte Carlo che sancì definitiva la nascita di due stelle, Ayrton Senna e, appunto, Stefan Bellof.
Un rimpianto che è pari all’orrore provato da chi visse in diretta la tragedia di Spa nella soleggiata domenica del 1° settembre 1985,
tra cui chi scrive, all’epoca inviato di Rombo nel Mondiale Sport. Quarant’anni dopo, le immagini e persino i suoni e gli odori di quel giorno li ho ancora vivissimi in mente. Si è detto e scritto molto su quella giornata, quasi a far pensare che il destino avesse disallineato i pianeti in anticipo.
E’ vero che quella gara Bellof non la doveva correre. Era ormai pilota fisso in F1, con la Tyrrell, e si era laureato
Campione del Mondo coi prototipi l’anno precedente, con una Porsche ufficiale. Ma le gruppo C, che ancor più della F2 lo avevano lanciato sulla ribalta, gli piacevano da matti. Nel contratto con Tyrrell, aveva strappato la possibilità di disputare quattro corse del Mondiale Sport. Spa non era nel programma iniziale, ma decise all’ultimo minuto di usare l’ultimo dei quattro ‘buoni’ proprio in Belgio, su richiesta dell’amico Thierry Boutsen, un altro che alternava volentieri la F1 con le gare Sport.
A Spa era iscritto su una delle Porsche 956 di
Walter Brun, matacchione svizzero che sfidava le Porsche ufficiali con il suo team privato, divenuto efficientissimo, ma rimasto un allegro clan familiare che ‘Walti’ finanziava con i proventi delle numerose concessioni di sale giochi (e forse anche di altri esercizi, secondo le malelingue) che deteneva nella sua Elvezia natìa. Boutsen voleva vincere la gara di casa e soprattutto battere l’idolo locale, Jacky Ickx, che correva con Jochen Mass su una delle Porsche ufficiali in livrea Rothmans.
Vero è anche che fra la leggenda e la nuova stella dell’automobilismo belga era calato un certo freddo, non si sa bene per quali futili motivi, nonostante Ickx avesse in precedenza ‘incoronato’ pubblicamente Boutsen come suo erede,. A Spa, dunque, c’erano le premesse per un bel duello. Era solo la quarta volta che la 1000 km si disputava sul tracciato nuovo e accorciato, con due vittorie di Ickx e una di Bellof nei tre anni precedenti.
Dopo un inizio gara con tutti i protagonisti nelle posizioni di testa, fra cui anche le Lancia di Wollek-Baldi e Patrese-Nannini e l’altra Porsche ufficiale di Stuck-Bell, Boutsen era riuscito a prendere saldamente il comando davanti a Mass. Il duello previsto alla vigilia era servito e ricordo perfettamente aver avvertito l’impressione di un ritmo di gara eccessivmente sostenuto mentre ero appostato (allora si poteva) all’interno della
Source.
Il duello si fece ancor più feroce quando a salire in macchina furono
Bellof e Ickx, anche perchè la vettura del Brun Motorsport aveva perso il primo posto nel pit-stop, avendo dovuto cambiare le pastiglie dei freni e avendo perso ulteriore tempo perchè il traffico le aveva fatto trovare il semaforo rosso alla fine della pit -lane (si era nel rettifilo e nei box vecchi, va ricordato). Inutile dire che Bellof partì come una furia e in pochi giri ridusse il distacco da Ickx, incalzandolo in un paio di occasioni. In palio, forse più di una semplice vittoria, lo scettro di re dell’endurance, che cambia di gnerazione? Chissà...
Al 78esimo dei 145 giri, circa metà gara esatta,
la tragedia. Bellof affianca Ickx sulla sinistra nella discesa verso l’Eau Rouge, nessuno dei due alza il piede, con il tedesco a tentare un sorpasso all’esterno all’Eau Rouge, impossibile con la configurazione della curva e l’aerodinamica delle vetture di allora, e il belga che non crede a una manovra così audace. Il contatto è leggerissimo, ma basta a squilibrare entrambe le macchine, che partono in testacoda.
Quella di Ickx si ferma contro le barriere del Raidillon puntando verso il basso, quella di Bellof schizza in diagonale e impatta frontalmente contro il guard rail sotto la tribuna dell’Eau Rouge a 250 orari,
piegandosi praticamente in due e con un principio di incendio. Volle il caso che ero appena tornato ai box e sostavo proprio da Brun, che era diventato il mio punto di appoggio perchè avevo legato molto con Massimo Sigala e Oscar Larrauri che correvano per lui.
Fu lo stridere degli pneumatici delle macchine in testacoda a farmi girare la vista verso la pista, in tempo per vedere lo schianto di Bellof e sentire un fragore che sembrava quello di una bomba. L’immagine successiva è quella di
Angelika, la ragazza acqua e sapone che era la fidanzata di Stefan sin dai tempi del liceo, rimasta impietrita sul suo trespolo a due metri da me, col cronometro e la lap chart in mano. Tempo due secondi, Peter Reinisch, lo storico diesse di Brun, la imbraca di forza e la porta via.
Il resto è polvere, confusione, soccorritori all’opera per quaranta minuti dietro i teli bianchi, la gara neutralizzata e poi sospesa, e poi gente che dai box sale verso la curva non si sa bene a fare che. Infine, l’immagine tremenda di un
Ickx sconvolto riportato ai box, sorretto da un ingegnere Porsche.
Che non ci fosse nulla da sperare lo si è capito subito. Lo confermeranno, con parole più crude di quelle che si usano oggi, i medici del circuito, che certificano il decesso per per le tremende lesioni al torace e all’addome. Un amico fotografo che riuscì a scattare come un automa tutta la sequenza dei primi soccorsi mi dirà più tardi: “Mi sono reso conto dello scempio solo quando son tornato a casa e ho sviluppato i rullini.
Foto inguardabili, ho bruciato negativi e provini seduta stante...”
A distanza di quarant’anni, mi azzardo a dire che quel giorno non è soltanto morto, a soli 28 anni, Stefan Bellof, ma che la storia dell’automobilismo ha preso una direzione diversa. In primo luogo, perchè se non fosse accaduto quel che è accaduto, Michael Schumacher non sarebbe diventato il mito che è diventato in patria. Avrebbe avuto identica carriera, ma non sarebbe stato il primo grandissimo campione dell’era moderna che la Germania aveva tanto atteso, bensì il secondo, dopo Bellof.
E soprattutto perchè Ayrton Senna avrebbe avuto un rivale diretto della sua stessa generazione e che era già stato approcciato, si dice, dalla Ferrari. Con Ayrton, Bellof aveva in comune tante cose, il talento, la feroce determinazione di racer puro. Altre no: era meno enigmatico e molto più gioviale del brasiliano. Forse meno attento a certi aspetti tecnici e politici. Di certo, aveva un ardimento fuori dalla norma.
La ricerca, empirica, del limite era un obbligo sempre. Mi viene in mente un esempio lampante:
1000 km del Nürburgring 1983, l’ultima sulla Nordschleife intera. Bellof vola in qualifica, pole con cinque secondi di vantaggio, record assoluto ed eterno su quel tracciato. In gara va in testa subito e batte il record sul giro due volte (anche questo rimasto eterno), poi al sesto sbatte, si capota, vola, ma esce senza un graffio.
Ai box siamo in ansia: senza riprese tv, coi commissari collegati alla direzione gara attraverso rudimentali telefoni a cavo, le notizie arrivano col contagocce. Bisogna aspettare che Stefan attraversi un boschetto sino alla provinciale e trovi un passaggio per tornare ai box. Pallido come un cencio? Contrito? Macchè, arriva come se non fosse successo nulla e ci butta lì:
“Pflanzgarten in pieno, in gara, non si può fare.”