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16 Ott 2021 [8:42]

Il bilancio del debutto della NextGen
Pro e contro di una nuova era

Marco Cortesi

Standardizzare, ridurre i costi e preparare all'avvento di una nuova tecnologia aprendo nel contempo la porta a nuove strutture. Sono state queste le ragioni principali dell'introduzione della nuova vettura NASCAR, e dopo il primo test pubblico collettivo, è già possibile trarre un bilancio. La prima questione, quella dei problemi allo sterzo che si sono riscontrati, è ancora sul tavolo ma si suppone che il lavoro fatto nelle prove potrà servire a sistemare le cose. Dopotutto, a questo servono i test. Per il resto, tranne alcune obiezioni per i grandi cambiamenti "storici" come il monodado, la ricezione del pubblico non è stata male, aiutata dal bel sound e soprattutto da un'estetica indubbiamente ben riuscita che ha chiuso un po' la distanza, in termini visivi, tra le auto da gara e quelle stradali.

L'alba di una nuova competitività?
Ma permetterà davvero la nuova auto, progettata da Dallara e costruita assemblando componenti in arrivo da mono-produttori, di ridurre drasticamente i costi e creare nuovi protagonisti? L'intenzione c'è. Sicuramente, ci sarà da acquistare meno vetture. Ogni top-team, attualmente, produce molte decine di vetture a stagione, che usa per sé e vende. Basti pensare che solo Hendrick, con l'attuale generazione, è ben al di sopra di quota 500.  Inoltre, moltissime componenti, a partire dal telaio, possono essere prodotte in casa, anche se molte squadre acquistano le vetture dai top team. 

Sette vetture l'anno per ogni pilota
Con la nuova piattaforma, le cose miglioreranno, ma per primeggiare serviranno comunque diverse auto pre-ottimizzate per le varie piste. Il massimo sarà di sette vetture per ogni pilota, e ci saranno limiti agli studi in galleria del vento in ottica set-up. Ma è impensabile che la "potenza di fuoco" di strutture come Gibbs o Hendrick non trovi il modo di far la differenza, dal punto di vista ingegneristico, di assetto e gestionale. Non fosse così, centinaia di lavoratori del settore verrebbero mandati a casa. In altre parole, non c'è troppo da aspettarsi di vedere dei "garagisti" scendere in pista con due soldi e mettersi dietro grandi realtà.

Correre e correre per vincere, due mondi diversi
Il costo "base" di un team diventerà forse più basso, così come le barriere all'ingresso. Ma da lì a puntare alla vittoria, la strada è lunga. In realtà, solitamente nel mondo delle corse più sono "fini" e limitati i dettagli su cui si può lavorare, più costa ottenere dei vantaggi. Almeno nel primo periodo, coi giusti investimenti e un po' di fortuna, qualcuno potrebbe fare il salto di qualità. Basti pensare al team Trackhouse che ha "assorbito" Ganassi o Roush che, con l'innesto da pilota e "diesse" di Brad Keselowski, vuole tornare ai fasti antichi.

Si torna alle qualifiche-monstre?
C'è poi da considerare anche il lato sportivo. Se davvero diventasse più facile schierare vetture, si potrebbe tornare al periodo d'oro in cui la lotta per la qualificazione era feroce, e gente di qualità rischiava ogni weekend di tornare a casa. Tanto più che oggi spesso le qualifiche neanche ci sono. Questo elemento è confermato dalla situazione dei "charter". Le franchigie, che permettono di avere un posto garantito al via delle gare, hanno raggiunto costi elevatissimi, si dice fino a 10 milioni di dollari. Tanto che perfino gente come Denny Hamlin e Michael Jordan si trova in difficoltà con il reperimento di un secondo "pass". E anche Dale Earnhardt Jr, il cui debutto come Team Principal viene visto come qualcosa di inevitabile, a un certo punto, sta allungando i tempi...