Mattia Tremolada - Foto Bee&Co/Dario Orlando A quasi un mese di distanza dal Walter Hayes Trophy, è per me arrivato il momento di riflettere a freddo sul mio secondo fine settimana di gara nel mondo Formula Ford. Purtroppo, questa volta l’esito del weekend è stato molto diverso da quello dello scorso anno (
potete trovare l’articolo a questo link), quando avevo vissuto un debutto promettente. Ma facciamo un piccolo passo indietro per fornire un po’ di contesto a questa avventura.
Il Walter Hayes Trophy Dopo anni passati a lavorare nel paddock, lo scorso anno ho finalmente avuto l’occasione di scendere in pista in un vero fine settimana di gara, prendendo parte ad una tappa dello United Formula Ford, il campionato inglese della omonima categoria che dagli anni ’60 forgia i talenti d’oltremanica e non solo. Nonostante l’avvento delle monoposto con alettoni e gomme slick, la Formula Ford ha mantenuto nel Regno Unito un bel bacino di piloti e i due trofei di fine anno, il Formula Ford Festival di Brands Hatch e il Walter Hayes Trophy di Silverstone, richiamano ancora un gran numero di iscritti e griglie competitive, dove i giovanissimi talenti in arrivo dal karting si scontrano contro i veterani della categoria.
Se il F.Ford Festival mantiene una maggior aura di fascino e prestigio, annoverando tra i vincitori piloti del calibro di Derek Daly, Johnny Herbert, Eddie Irvine, Vincenzo Sospiri, Jenson Button e Nick Tandy, il secondo, dedicato alla memoria dell’ex dirigente Ford Walter Hayes, richiama ogni anno oltre 100 vetture iscritte, ben 104 nel 2025 per il 25esimo anniversario della manifestazione. I piloti vengono quindi divisi in quattro batterie, Heat, che prendono parte a qualifica e manche. I migliori 13 di ogni manche avanzano alle due semi-finali, mentre gli altri hanno una ulteriore possibilità di avanzare nella Progression e nella Last Chance Race. I migliori 18 di ogni semi-finale infine ottengono l’accesso alla finalissima, che decreta il vincitore dell’evento sulla distanza di 15 giri sul layout National di Silverstone.
Un circuito velocissimo Il tradizionale layout di Silverstone su cui si articola il trofeo è composto da quattro curve e tre lunghi rettilinei. La partenza viene data sul vecchio rettifilo di partenza, dove si raggiungono i 200 km/h. Una delicata pressione sul freno, quanto basta per perdere qualche chilometro all’ora di velocità e lanciarsi a 165 km/h di minima di traverso nella piega di Copse, dove le gomme Avon intagliate scivolano sull’asfalto, restituendo al pilota una non sempre piacevole sensazione di instabilità. Un altro allungo e porta le vetture a Maggots, dove è importante sfruttare tutto il cordolo di sinistra per cercare di frenare con le ruote dritte, scalare due marce e affrontare Beckets, che a differenza di quanto siamo abituati a vedere con il layout GP, è una secca piega a destra che immette sul lungo Wellington Straight.
La sezione finale di Brooklands e Luffield è la più bella scenograficamente, in quanto le grandi tribune che la circondano trasformano il complesso in una vera e propria arena. Qui di nuovo bisogna scalare in seconda marcia, che va tenuta per tutta la sezione. La natura velocissima del circuito e il format a eliminazione favoriscono inevitabilmente gare di gruppo, in cui il leader difficilmente riesce a prendere il largo, dovendo vedersela con una nutrita e scatenata concorrenza. Questo, ovviamente, in caso di asfalto asciutto, cosa che, come vedremo nelle prossime righe, è tutt’altro che scontata.
L’edizione del 25esimo anniversario Negli ultimi due anni ad imporsi sulla scena della Formula Ford è stato Jason Smyth, 19enne irlandese con origini filippine, figlio di Neville, vincitore del Kent Festival di Brands Hatch nel 2010. Smyth nel 2025 ha dominato il campionato United FF, ha trionfato nel Festival ed è quindi il grande favorito anche per il WHT. A supportarlo il Team Dolan, squadra a cui mi sono legato dallo scorso anno, guidata dall’ex pilota Bernard, tra i grandi protagonisti della Formula Ford di fine anni ’80, e a cui ho rinnovato la mia fiducia anche per fare il mio debutto in uno dei grandi trofei di fine anno.
Non avendo la possibilità di guidare regolarmente un’auto da corsa durante l’anno, abbraccio con entusiasmo il format che prevede ben tre giorni di test prima dell’inizio del fine settimana vero e proprio con qualifiche e gare. Il positivo debutto del 2024, quando con un solo giorno di test e uno di gare ero riuscito ad arrivare a soli sei decimi di ritardo dallo stesso Smyth, che dettava il passo, mi fa guardare all’imminente weekend con grande ottimismo. Ma una variabile impazzita era pronta ad attendermi a Silverstone, la pioggia.
Le giornate di test Non ho mai messo le ruote in pista sull’asfalto bagnato e farlo in terra inglese, in mezzo ai piloti locali, veri e propri specialisti di queste condizioni, si rivela infatti più difficile di quanto pensassi. Inoltre, le gomme intagliate, che hanno le medesime scanalature per tutte le condizioni, comprese quelle di bagnato estremo, rappresentano una grande sfida.
Nel tardo pomeriggio di mercoledì 29 ottobre, in ritardo rispetto alla concorrenza che sta girando dalle 10 del mattino a causa di un inconveniente sulla mia vettura, scendo finalmente in pista. Mi prendo il tempo necessario ad abituarmi alla velocità e alla vettura, che non guido dallo scorso agosto, senza affrettare i tempi. Il grip è decisamente scarso e tanti sono i piloti che vengono colti di sorpresa. Questo porta a numerose interruzioni con la bandiera rossa, che spezzano il ritmo in continuazione. Tutto sommato però nelle due ore a mia disposizione getto delle solide basi per il fine settimana, girando in 1’13” a due secondi dal miglior riferimento. Un buon inizio per il primo approccio su asfalto bagnato.
Le condizioni migliorano velocemente e una bellissima giornata di sole ci attende giovedì. Le temperature si alzano e l’asfalto rimane asciutto per tutti e quattro i turni in programma. Quindi di fatto bisogna ripartire da un foglio bianco. E a cambiare non è solo il livello di aderenza, ma l’intero stile di guida. Su asfalto bagnato, infatti, bisogna frenare con grande delicatezza ed è poi importante togliere il piede dal freno prima di inserire la vettura in curva, cercando di essere il più puliti possibile. Su asciutto, al contrario, è fondamentale portare la frenata fino al punto di corda, in modo da massimizzare la rotazione, con il posteriore che deve essere sempre in leggero sovrasterzo in inserimento e per gran parte della percorrenza.
Quello che sembra un piccolo accorgimento, in realtà rappresenta una differenza sostanziale nello stile di guida. Quindi cerco di dimenticare quanto appreso il giorno prima, le sensazioni, le linee, i punti di frenata, la forza di attacco al freno e tutto quanto il resto, per ripartire da zero con un approccio decisamente più aggressivo, fondamentale per trovare un buon ritmo su asciutto. Piano piano, col passare dei giri riesco a trovare la giusta strada, ma l’influenza e gli spauracchi del giorno prima ancora non se ne sono andati del tutto e semplicemente impiego troppo tempo a ritrovare il feeling con la vettura come un anno fa a Brands Hatch. A Copse freno troppo, a Maggots e Becketts troppo presto, a Luffield non ho la fiducia sufficiente per portare il freno fino a metà curva. Il gap, anche su asciutto, è nuovamente di 2”.
Nella notte tra giovedì e venerdì torna a fare capolino la pioggia. E di nuovo occorre fare uno sforzo mentale per cambiare le linee, i punti di frenata, la forza frenante, le scalate, tutto quanto. Ed è così che nel corso del terzo giro, appena inizio a spingere, porto troppa velocità in inserimento a Luffield, perdo il posteriore e finisco nella sabbia. Sessione completamente gettata al vento, tanti chilometri utili persi e livello di confidenza che torna allo zero. Un piccolo errore, qualche chilometro orario di troppo, che ha delle conseguenze disastrose, costringendomi a ripartire da capo. Nei turni successivi piano piano cerco di riprendere il ritmo, ma a fine giornata il gap è sempre lo stesso. Sentirmi così lento, così poco a mio agio al volante e così distante da piloti con cui lo scorso a Brands Hatch ero in lotta, è un duro colpo alla vigilia della qualifica.
Riflessione pre-qualifica Essendo diventato un professionista che vive di motorsport, sono sottoposto alla visione di centinaia di gare ogni anno. Dalle serie amatoriali a quelle più prestigiose, osservando di continuo e spesso anche da vicino molti piloti, con il tempo ho imparato a individuare dei pattern, delle tendenze, che possono essere positive o negative, crescenti o decrescenti. È difficile non cadere nella banalità, ma da fuori è facile individuare questi trend e etichettare un pilota come astro nascente o bollito. La stagione 2025 di Formula 1 ha dato un chiaro esempio di queste tendenze, con i piloti McLaren che sono stati messi a dura prova. Ma anche lo stesso Max Verstappen, dopo una fase interlocutoria a metà stagione, una volta ritrovata la speranza di riaprire la corsa al titolo ha cambiato passo in maniera netta.
Questa volta mi sono trovato io stesso al centro di uno di questi loop negativi da cui è difficilissimo uscire. Non basta studiare a fondo i video o i dati della telemetria, analizzare punto per punto con il coach - nel mio caso l’ex pilota Matt Round-Garrido - le linee, i punti di frenata e quant’altro, spendendo ore ed energie. E anzi, il rischio è quello di incaponirsi su nozioni tecniche che in realtà sono già acquisite, quando invece - è molto facile dirlo ora a freddo dalla scrivania dell’ufficio - la cosa migliore sarebbe quella di fare un passo indietro, spegnere il computer, sgombrare la mente, cancellare le sensazioni e le paure dei giorni e dei turni precedenti, e ripartire da capo.
Ancora una volta, è complicato non usare espressioni banali, ma è molto facile analizzare gli errori e giudicare dal muretto box o dal divano di casa la guida, ma una volta nell’abitacolo, a “guidare” il pilota sono le sensazioni, l’istinto, il famoso feeling che arriva dal sedere. Ed è quello più di tutto che è difficile da correggere, perché spesso si basa sull’imprinting delle prime sensazioni del fine settimana o delle sessioni precedenti. Tornando a freddo a quei giorni, probabilmente non ho avuto il coraggio e la forza di andare a sovrascrivere le informazioni raccolte in precedenza e di fidarmi di quello che sapevo di poter fare, soprattutto quando le condizioni erano in continua evoluzione, lasciandomi frenare dagli errori fatti in precedenza e dalla paura di ripeterli.
Heat 4, qualifica e manche Arrivati a sabato, dunque, nonostante abbia “la coscienza pulita” per aver passato ore e ore a studiare video e dati, sono ormai in balia degli eventi. E la qualifica, disputata in tarda mattina sull’asfalto che va asciugandosi, è la riprova definitiva delle mie difficoltà psicologiche. Nonostante abbia comunque la lucidità di togliermi dal traffico effettuando un drive through che mi ha permesso di trovare pista libera, nel mio giro migliore manco il punto di corda praticamente in tutte le curve, confezionando un crono orribile, buono solo per assicurarmi il 13esimo riferimento della Heat 4 a 1”9 dalla pole position.
La gara poi è totalmente asciutta e il grip sul tracciato molto elevato, come mai fino a quel momento. Nonostante non sia rapido ad adattarmi, gioco abbastanza bene le mie carte, lottando ai margini della top-10 fino all’ultimo giro, quando il mio compagno di squadra Stephen O’Connor perde il controllo a Becketts, proprio davanti a me. Come lui, anche io sono entrato in curva appaiato all’interno di un avversario, quindi nel momento in cui mi accorgo del pericolo, ho già il volante con un angolo di sterzo molto pronunciato e non posso nulla per evitare il contatto, che mette fine alla gara di entrambi, vanificando ogni chance di guadagnare l’accesso diretto alla semi-finale.
Progression e Last Chance Race Così, la domenica mattina sono costretto a ripartire dal fondo (28esima posizione) della Progression Race. Obiettivo entrare nei primi 16 classificati per assicurami un posto nella Last Chance. Un compito sulla carta abbastanza agevole e infatti nei primi otto giri di gara riesco a portarmi addirittura al quarto posto sull’asfalto bagnato. Una volta guadagnata pista libera, prendo coraggio e, esaltato dalla rimonta, tiro una bella frenatona a Brooklands.
Ora, essere in balia degli eventi e avere la mente poco lucida, come si traduce in pista? Tramite piccoli errori, un lungo in frenata, un cambio marcia sbagliato, un bloccaggio, una ripartenza lenta dopo un periodo di safety car, o come in questo caso dimenticandosi di spostare la ripartizione in avanti quando la pista va asciugandosi. Così alla prima vera staccata vigorosa, blocco il posteriore finendo in un 360°. Subito riesco a riprendere la marcia, ma nel frattempo il gruppo torna alla carica e un avversario non perde l’occasione di colpirmi sulla pancia, spingendomi nell’erba e in un secondo testacoda. Riparto e transito sul traguardo 18esimo, perdendo il diritto di partecipare alla Last Chance per due posizioni.
O meglio, vengo inserito tra le riserve, pronte ad entrare in gara in caso di mancata partecipazione di uno o più concorrenti. E con un colpo di fortuna ho la possibilità di schierarmi in griglia all’ultimo posto in 36esima piazza. La possibilità di centrare la semi-finale è nuovamente alla portata, è sufficiente un 20esimo posto. Con una buona partenza riesco a recuperare parecchie posizioni, sfruttando anche un incidente multiplo nel primo passaggio. Le auto coinvolte però rimangono a bordo pista, richiamando l’esposizione della bandiera rossa. Quindi tutto da rifare, sono costretto a ripartire dall’ultima fila.
Avendo sofferto un po’ di pattinamento al via delle gare precedenti, decido di fare un paio di bornout in più nel nuovo giro di schieramento. Forse più di un paio, visto che da metà gara in poi la frizione inizia a fare i capricci. Risalgo comunque da 35esimo a 17esimo ma al quinto giro il pedale della frizione rimane a fondo corsa per diversi secondi, per poi tornare su di colpo quando ormai sto inserendo in curva. Risultato, un altro testacoda e tutto da rifare dal 31esimo posto. Risalgo 28esimo nei giri seguenti. Ancora una volta non riesco a guadagnare in pista l’accesso al turno successivo.
Semi-finale Ma la sorte è dalla mia parte e vengo nominato come sesta riserva per le due semi-finali. La prima procede senza intoppi, ma al via della seconda un nuovo incidente multiplo richiama la bandiera rossa. Diverse vetture vengono coinvolte e ricevo un miracoloso via libera per prendere posto in 18esima fila, 36esima e ultima piazza. La frizione purtroppo è ancora danneggiata e me ne accorgo già nel giro di formazione, ma non voglio arrendermi e decido di prendere comunque il via.
Purtroppo, dopo aver recuperato alcune posizioni, si blocca nuovamente a fondo corsa, facendomi scivolare dal 27esimo al 32esimo posto. Mi rimbocco le maniche nuovamente e torno in 27esima piazza. Questa volta il risultato è definitivo, nessun miracolo per accedere alla combattutissima finale, che devo seguire dai box. A spuntarla è il favorito Smyth, capace di risalire dalla 13esima casella dopo una penalità rimediata per un contatto in semi-finale, andando a piegare la resistenza del rivale Andrew Rackstraw, campione della Porsche Carrera Cup GB 2025.
Conclusione Questa è stata senza dubbio la prova più difficile alla quale mi sia sottoposto, in pista e non. In questi giorni, in cui fondamentalmente mi sono lasciato trascinare dalla mia Van Diemen lungo i rettilinei di Silverstone, forse non ho capito come guidare. Sicuramente non sono riuscito ad esprimere le mie qualità. Altrettanto certamente ho avuto la riprova definitiva di non avere un talento innato al volante (anche a 29 anni la speranza era dura a morire). Ma ho anche vissuto una - durissima - ma splendida esperienza, dalla cui attenta e approfondita analisi, ancora in corso, potrò certamente giovare per crescere sia come pilota amatoriale sia per il mio lavoro professionale e per la mia frequentazione del paddock e delle persone che lo popolano.