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5 Gen [15:14]

Una provocazione per la F1:
qualche GP in meno per l'ambiente

Jacopo Rubino - XPB Images

Meno potrebbe essere meglio. La Formula 1 non sta ignorando le questioni ambientali, ma vive una forte contraddizione: la proprietà di Liberty Media desidera stagioni sempre più dense, per aumentare pubblico e redditività del suo prodotto, ma avere più gare (23 previste nel 2022) significa anche maggiore inquinamento. Il che vanifica gli apprezzabili sforzi profusi in questi anni sul tema, doverosi perché su questa partita l'intero motorsport gioca forse la sua esistenza a lungo termine. Ridurre il numero dei Gran Premi in calendario, lo diciamo in modo anche un po' provocatorio, sarebbe in realtà l'azione più significativa, che abbiamo intravisto nel 2020 con il calendario stravolto, forzatamente, dalla pandemia.

La questione ecologica, infatti, va ben oltre la tecnica delle monoposto: secondo uno studio condotto dalla FIA nel 2019, le attività in pista incidono per un misero 0,7 per cento sulle emissioni generate dalla F1 nella sua totalità. Questa, insomma, è la punta dell'iceberg, e poi le attuali power unit sono i motori a combustione interna più efficienti di tutto il settore automotive. Il vero impatto, invece, viene dagli spostamenti: circa il 45% dell'inquinamento del Circus è dovuto ai trasporti aerei, navali e su gomma di tutti i materiali in giro per il globo, più un ulteriore 27% legato ai viaggi delle persone che ne fanno parte. La somma di queste due voci corrisponde a circa 185 mila tonnellate di CO2 prodotta.

Abbiamo fatto un calcolo approssimativo: in media un Gran Premio "costerebbe" quasi 9000 t di andride carbonica. Nessuna tecnologia, nessuna innovazione sviluppata per le vetture è in grado di bilanciarla. La F1 a fine 2018 ha avviato un programma per raggiungere entro il 2030 la neutralità delle emissioni, e nel frattempo sta già riducendo la propria "carbon footprint" con iniziative mirate, come l'utilizzo di aerei cargo più moderni o l'eliminazione di prodotti usa e getta. Anche le scuderie, in autonomia, si impegnano su questo fronte. Ma dall'altro lato, come dicevamo, c'è il desiderio di un Mondiale con sempre più trasferte, specialmente intercontinentali. Qualcosa non torna.



"Senza limitazioni, ci sarebbero più di 30 circuiti dove potremmo correre, ma non possiamo andare in questa direzione", ha ammesso a The Race il presidente Stefano Domenicali, riferendosi però alla pressione esercitata sul personale viaggiante. Altra tematica da non ignorare. 25 round, il tetto oggi fissato nel Patto della Concordia, sono comunque il traguardo più o meno dichiarato, e probabilmente non così distante.

La vera svolta green, quindi, sarebbe quella di pensare a una "decrescita felice" della F1, seppur lieve. Sfoltire la stagione, magari tornando a 18 o 20 tappe, aiuterebbe a tagliare le emissioni in modo davvero notevole, quasi come gesto di responsabilità sociale, e sarebbe una bella dimostrazione di coerenza. Il sistema potrebbe essere attuato con una rotazione degli eventi in calendario, più volte dibattuta, che potrebbe anche regalare maggiore varietà agonistica fra un anno e l'altro. Servirebbe inoltre ripensare la distribuzione geografica dei GP, per accorciare la durata degli spostamenti: la doppietta Baku-Montreal prevista quest'anno, per fare un esempio, non è certo ideale quanto a consumi energetici.

Tutto perfetto? Ovviamente no: un rischio è il calo di valore economico della F1 nell'immediato, perché potrebbero scendere i profitti, ma ora le squadre operano dentro il budget cap e i margini di guadagno resterebbero ampi. La decrescita felice potrebbe avere qualche lato negativo, ma i benefici ci appaiono superiori.