Michele Montesano - XPB Images
Non solamente una questione di auto, ma anche di uomini e passione. La 24 Ore di Le Mans è una di quelle gare in cui sembra che il tempo si sia cristallizzato, dove le imprese più che le vetture in pista le compiono soprattutto i meccanici e i piloti. Non ha fatto eccezione questa edizione appena andata in archivio, con il box di AF Corse che è riuscito a fare la differenza vincendo contro i team ufficiali. La Ferrari 499P privata ha saputo regalare emozioni forti con l’equipaggio composto da Yifei Ye, Phil Hanson e Robert Kubica.
Proprio il polacco è stato tra gli assoluti protagonisti delle ultime fasi di gara. Velocissimo in ogni frangente della corsa, Kubica è stato autore dell’ultimo turno di guida mettendo in mostra la solidità e la determinazione dei grandi campioni. Tant’è vero che il polacco è rimasto nell’abitacolo della 499P nelle ultime tre ore e mezza di gara gestendo il vantaggio sugli avversari fino a tagliare per primo il traguardo della 93ª edizione della 24 Ore di Le Mans.

“Ovviamente è una giornata speciale – ha commentato appena sceso dal podio Kubica – vincere la 24 Ore di Le Mans è qualcosa di unico. Fin dal mio debutto, nel 2021, ho amato subito questa gara, nonostante sia finita nel modo probabilmente più drammatico possibile perdendo la vittoria in LMP2 all’ultimo giro. Avevo già 36 anni, ma l’ho davvero apprezzata e mi ha fatto sentire come un bambino che corre sui kart. È una gara, ma anche un'avventura, succedono talmente tante cose che mi ha fatto riscoprire quelle emozioni riportandomi indietro quando da ragazzino viaggiavo dalla Polonia verso l’Italia per correre con i kart. Anche questa vittoria è sicuramente carica di emozioni. Ora c’è ancora un po’ di stanchezza, l’adrenalina, e solo il desiderio di riposare e godermela”.
Insieme a Kubica nel 2021 c’era proprio Ye con cui quest’anno ha diviso la Ferrari e la vittoria: “Finalmente siamo riusciti a finire quest’ultimo giro con Yifei – ha raccontato il pilota polacco – perché ho imparato che nelle corse bisogna aspettare il traguardo. È stata una gara lunga, ma questa volta c’era la consapevolezza che solamente un guasto ci avrebbe potuto togliere la vittoria. L’ultima parte è stata in controllo, eravamo certi di cosa stavamo facendo”.
Come ammesso dallo stesso Kubica, il cambio gomme sul finale è da leggere proprio in ottica precauzionale: “Potevamo finire con un triplo stint, ma con le gomme più usurate non si sa mai: basta un piccolo taglio e lo pneumatico si può sgonfiare. La gomma nuova, oltre a darti una maggior prestazione, ti offre una maggior sicurezza per finire la gara. Quindi abbiamo scelto di cambiare per precauzione, anche per questo è stato importante creare un margine per poter gestire l’ultima fase di gara”.
“Dovevamo stare davanti senza esagerare – ha proseguito Kubica – perché bastava una safety-car e tutto sarebbe ripartito da zero. Quindi ho cercato di conservare le gomme per tenerle in buon stato e mantenere il gap per avere comunque un margine di sicurezza, perché a Le Mans non si sa mai. Ma, allo stesso tempo, di non rovinare troppo le gomme in caso di safety-car o di ripartenze in modo da averle pronte per il finale”.
Assieme a Fernando Alonso, Kubica è diventato l’unico pilota ad aver vinto sia un GP di Formula 1 che la 24 Ore di Le Mans. Tuttavia al pilota polacco non interessa la 500 Miglia di Indianapolis per tentare la conquista alla Triple Crown, ma c’è un capitolo che è ancora aperto: “Se dovessi scegliere, proverei a vincere una gara del Mondiale Rally. Ci ho provato ma non ci sono riuscito. Ho vinto nel WRC2, la categoria inferiore, di cui sono stato anche campione del mondo, però non ho mai vinto nel WRC. Ovviamente adesso sarebbe da pazzi riprovarci, anche perché forse con l’età sono diventato un po’ più consapevole e meno folle”.
La vittoria nella 24 Ore di Le Mans non è il successo più importante per Kubica che con la mente ritorna a quel tragico incidente del 2011 nel Rally di Andora: “La mia vittoria più importante non ha niente a che fare con le corse. Il vero successo è stata la battaglia che ho dovuto affrontare con la mia mente per accettare l’incidente e le sue conseguenze, i miei limiti e il lunghissimo periodo di recupero. Non è stato facile, sono stati mesi e anni di lavoro mentale per smettere di pensare a cosa sarebbe potuto essere e concentrarmi sui nuovi traguardi e obiettivi. Il destino, almeno sul piano sportivo, mi ha restituito qualcosa”.