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30 Dic [15:54]

L'ipocrisia della Formula E
nei confronti dell'Arabia Saudita

Massimo Costa

In Italia ne hanno parlato i quotidiani nazionali, Mediaset ha mandato in onda la diretta, addirittura i telegiornali della RAI vi hanno dato spazio. La prima gara della Formula E in Arabia Saudita ha fatto il "botto" si potrebbe dire. Articoli e servizi entusiastici sull'apertura al mondo di quel Paese sono stati risolti in poche righe e in pochi minuti televisivi, plaudendo al concerto musicale che ha coinvolto One Republic, David Guetta, Jason Derulo, alla presenza sotto il palco di ragazzine senza velo. Una svolta, hanno sottolineato questi servizi giornalistici. Tutto bello insomma, proprio l'immagine patinata che il governo locale voleva trasmettere ospitando a suon di dollari la Formula E.

Lo sport, come spesso accade, è sempre una finestra sul mondo (positiva) per quei Paesi notoriamente prigionieri di dittature, di regole antiquate, di leggi che il mondo libero fatica a comprendere che possano esistere nel 2018. L'Arabia Saudita è una nazione che prevarica i diritti della persona e non ha niente da spartire con i vicini degli Emirati Arabi, leggi Dubai e Abu Dhabi per esempio, benché anche in quei territori vi sono zone d'ombra importanti. Un Paese che il monarca Mohammed bin Salman, detto MBS, vuole modernizzare a tutti i costi (lo scorso maggio sono sbocciate le sale cinematografiche), ma che ancora presenta diversi lati oscuri.

Mohammed bin Salman non ha mancato di essere sulla griglia di partenza del primo e-prix del campionato Formula E, al suo fianco un serio Jean Todt, presidente della FIA. Peccato, però, che all'evento non abbia potuto partecipare Loujan al-Hathloul, 29 anni, laureata alla British Columbia, coraggiosa attivista per i diritti delle donne. Questa ragazza si è sempre opposta al divieto di guida per le donne che è caduto lo scorso giugno. E per questo motivo lo scorso maggio è finita in prigione, una delle tante volte, per la sua attività atta a destabilizzare (secondo il regime arabo) la nazione.

Loujan al-Hathloul era stata arrestata la prima volta l'1 dicembre del 2014 perché provenendo dagli Emirati Arabi al volante di un'auto, voleva provocatoriamente attraversare la frontiera ed entrare in Arabia Saudita. In possesso di una patente regolare rilasciata dalla UAE, Loujan è così finita in prigione per 73 giorni. Vi è tornata ancora nel giugno 2017 e lo scorso 15 maggio 2018 sempre per il suo attivismo per i diritti delle donne. Con lei altre nove compagne. Secondo Amnesty International, lo scorso novembre sarebbero state torturate con scosse elettriche e frustate, poi tenute in isolamento. Le ragazze porterebbero segni evidenti degli abusi subìti.

Si è parlato tanto, in occasione della gara di Formula E, della cancellazione del divieto alla guida che era riservato alle donne e ipocritamente, la Formula E ha permesso a diverse ragazze pilota di effettuare il test post gara. Peccato però, che non vi fosse Loujan, ovvero colei che per anni ha combattuto per ottenere questo diritto. Lei era a 500 km di distanza, nell'oscura prigione di Dhahban, a Jeddah. Nessuno l'ha ricordata, farne solamente il nome avrebbe irrigidito MBS e magari scompigliato il foglio con la firma dell'accordo di 10 anni per organizzare a Ryad la Formula E. In barba alla brutale campagna militare che l'Arabia Saudita conduce contro lo Yemen, per non parlare dello sdegno internazionale suscitato dall'omicidio del giornalista dissidente Jamal Kashoggi avvenuto lo scorso ottobre e, come hanno confermato le indagini, ha toccato le alte sfere della monarchia. Davanti a tutto questo, gli organizzatori della Formula E si sono girati dall'altra parte.

Nessuno, però, ha dimenticato l'infelice dichiarazione di Alejandro Agag, boss della Formula E, rilasciata qualche mese fa ad Autosport: "Quando vai in una nazione ne devi rispettare le regole e la cultura e finché lo fai non hai motivi per preoccuparti. Finché rispetti le loro leggi, l'Arabia Saudita è super accogliente". Parole che lasciano... senza parole quelle di Agag e che non mancarono di suscitare parecchie polemiche. Sport e politica si mischiano sempre e comunque. Ma tant'è, sappiamo bene che girarsi dall'altra parte è sempre conveniente e non vogliamo certo fare dello spicciolo moralismo, ma semplicemente raccontare la realtà dei fatti.

Sappiamo bene che anche la F1 e altri sport non si preoccupano di quel che accade nei Paesi che ospitano i loro eventi. In primis la Cina e la Russia, per non parlare del Bahrain o dell'Azerbaijan. Oppure il Qatar, organizzatore dei prossimo mondiali di calcio, più volte finito sotto inchiesta per una sorta di schiavitù indotta ai manovali per la costruzione degli stadi. E la FIFA ha sempre fatto finta di niente. La lista è sicuramente lunga ed ora, per quanto concerne il motorsport, grazie alla Formula E comprende anche l'Arabia Saudita. Avanti il prossimo...